di Antonella Napoli
Era stato rapito nel maggio 2011 e, per quasi, un anno dimenticato. Solo ieri, dopo la telefonata del premier britannico David Cameron al presidente del Consiglio italiano Mario Monti, si è saputo che Franco Lamolinara, tecnico italiano di 48 anni, è stato ucciso nel corso di un blitz congiunto delle 'teste di cuoio' inglesi e dei servizi nigeriani.
E, ineluttabile, è scoppiata la polemica, lasciando sullo sfondo la tragedia umana di questo ingegnere vercellese, padre di due ragazzi, da dieci anni nel paese africano.
Forse, se l'operazione non fosse fallita e il nostro governo non fosse stato avvertito ''ad azione avviata'', come precisato da una nota di Palazzo Chigi, il clamore sulla vicenda sarebbe stato limitato. Se non inconsistente.
Ma le cose sono andate male e Lamolinara e l'altro ostaggio, l'inglese Chris McManus, sono stati uccisi dai rapitori - secondo la versione britannica - prima che le forze speciali potessero intervenire. Eppure, all'indomani del blitz, testate locali hanno riportato una diversa ricostruzione fornita da fonti di sicurezza nigeriane, le vittime sarebbero state colpite da fuoco amico. E dunque lo sconcerto e il rincrescimento delle autorità italiane cresce. La massima espressione di tale disagio è stata espressa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha definito 'inspiegabile' il comportamento di Dawning street e ''necessario un chiarimento sul piano politico-diplomatico".
Già nell'immediatezza della telefonata di Cameron, Monti aveva manifestato sorpresa e disappunto. Le febbrili consultazioni con Quirinale, Difesa e Farnesina e i vertici dei servizi, che non hanno esitato a ritenere l'operazione ''inattesa', hanno poi fatto salire la tensione.
Il rapimento di Lamolinara era stato seguito con grande attenzione dall'Aise. I nostri 007 erano partiti pochi giorni dopo il sequestro e negli ultimi dieci mesi hanno lavorato in stretta collaborazione con i colleghi inglesi e nigeriani. Ma nelle settimane precedenti l'assalto al compound, dove si nascondevano i sequestratori della setta islamica di Boko Haram che avevano preso i tecnici, a detta dei nostri agenti i contatti non erano stati soddisfacenti.
Non solo le informazioni sul legame con l'Aqmi (al Qaida per il Maghreb), la branca maghrebina dell'organizzazione creata da Osama bin Laden, erano arrivate con grande ritardo all'intelligence italiana, addirittura non aveva ricevuto alcuna comunicazione su quanto si stesse predisponendo per la liberazione degli ostaggi.
La prassi consolidata in casi del genere prevede, invece, che la pianificazione, la decisione e l'esecuzione di un eventuale blitz veda il concorso di tutti i Paesi interessati. Consuetudine che in questa vicenda, evidentemente, non sarebbe stata seguita.
Il condizionale è d'obbligo, visto che notizie filtrate dal governo britannico e pubblicate dall'Indipendent, rivelano che le 'autorità italiane competenti' erano informate.
Insomma, questa tragedia porta con sé increspature evidenti e di cui il governo avrebbe fatto volentieri a meno in un momento delicatissimo in cui l'Italia è già impegnata in un estenuante braccio di ferro con New Delhi per l'affaire dei due marò coinvolti in una sparatoria che ha causato la morte di due pescatori indiani.
E poi resta l'apprensione per la sorte di altri nove italiani ostaggi di bande armate in tutto il mondo. Tra loro Rossella Urru, la cooperante rapita nel sud dell'Algeria in ottobre e scomparsa tra le dune del Sahara: nei giorni scorsi si era diffusa la notizia, poi smentita, di una sua liberazione. Della giovane donna, però, si sono perse al momento le tracce.
Nella stessa zona del sequestro Urru, è stata catturata a febbraio 2011 anche la turista fiorentina Maria Sandra Mariani, 53 anni. E' l'ostaggio da più tempo nelle mani dei rapitori. I sequestratori fanno capo probabilmente ad Al Qaida per il Maghreb islamico (Aqmi), la rete integralista che controlla l'immensa fascia desertica che va dall'Algeria alla Mauritania, dal Mali al Niger, al Ciad fino al Sudan.
L'ultimo italiano ad essere stato rapito, lo scorso 19 gennaio, è il cooperante siciliano Giovanni Lo Porto, catturato con un collega tedesco in Pakistan nella località di Multan
(Punjab). Sarebbe nelle mani del gruppo talebano Tehrik-e-Taliban Pakistan, capeggiato da Hakimullah Mehsud.
Sono ancora prigionieri dei pirati poi, i sei italiani della nave 'Enrico Ievoli' sequestrata il 27 dicembre scorso al largo delle coste dell'Oman e che sarebbe alla fonda al largo delle
coste somale.
Un lungo elenco di persone le cui 'vite sospese' dovrebbero suscitare un maggiore interesse dei mezzi di informazione che, invece, come in questo caso trattano l'argomento solo nel momento del massimo clamore.