di Saverio Lodato
Ma il figlio di Provenzano, dove vuole andare a parare? I figli dei mafiosi crescono. E crescono diversamente da come crescevano in passato. Vogliono essere intervistati. Escono allo scoperto, vanno in televisione, accettano il contraddittorio, lanciano appelli, si avventurano per strade mediatiche sconosciute, offrono la loro versione dei fatti, stabiliscono paragoni fra eventi lontani nel tempo, lasciano intendere di saperla lunga, si impongono all’attenzione dell’ opinione pubblica come gli insostituibili interlocutori di quanti sono alla ricerca della verità. O di quanti sono- istituzionalmente- preposti alla ricerca della verità.
Vogliono entrare a pieno titolo nella scrittura di quei fatti tragici che hanno visto i loro genitori in veste di feroci protagonisti. Vogliono partecipare a una sorta di sceneggiatura collettiva. Si accreditano come specialisti della materia. Ed è un fenomeno in crescita, e destinato – ulteriormente - a crescere.
No, non è proibito. Non c’è nessuna legge che lo vieta. Nessuna legge che impedisca il gran salto dalla <<sceneggiata>> alla <<sceneggiatura>>.
Ma una volta che si è presa la parola, conta quello che dici, la sensazione che trasmetti a chi ti ascolta, la sincerità del messaggio, la buona o cattiva fede che muove il tuo ragionamento complessivo.
Sotto questo profilo, che impressione mi ha fatto Provenzano Junior che si è materializzato nell’ultima puntata di <<Servizio pubblico>> ?
Pessima. E cercherò di spiegare perché.
Tralasciamo la perorazione sulle condizioni fisiche del padre, già smentite da perizie mediche carcerarie che certificano invece la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione. In fondo, questa perorazione, venendo da un figlio, è forzatura comprensibile, una maniera per catturare l’ascolto e entrare in argomento. E si può capire. Si può capire umanamente.
E’ tutto quello che viene dopo, a non convincere. Vediamo.
Affermare che Falcone e Borsellino furono <<due vittime immolate sull’ Altare della Patria, due vittime della violenza>>, equivale a paragonarli a un Milite Ignoto, deceduto per cause belliche che sarà la Storia a diagnosticare. Le cause del perché della guerra scatenata da Cosa Nostra contro un pezzo dello Stato italiano, e con il favore di un altro pezzo dello Stato italiano, sono , invece, evidentissime: il business, alla base di tutto. Nient’altro che il business. E non da ora.
Rifiutarsi di rispondere: <<mi fa schifo>> ( alla giornalista Dina Lauricella che lo incalzava: << la mafia le fa schifo?>> ), preferendo chiosare:<<tutti i tipi di violenza mi danno fastidio>>, non significa altro che restarsene accucciati sotto la cappa protettiva di una cultura, mafiosa e familiare, che proprio nella negazione della parola <<mafia>> ha sempre trovato una secolare ragione di sopravvivenza.
Sottrarsi a un suo personale giudizio, replicando che è compito delle istituzioni ristabilire la verità di quello che è successo, non significa altro, ancora una volta, che tirarsi fuori. E non serve a molto cercare di diluire la propria alterità rispetto allo Stato, con l’espediente del << rispetto >> che si asserisce di portare allo Stato stesso. Resta un sottrarsi alle proprie responsabilità; che però non sono – si badi bene- responsabilità penali.
Provenzano Junior non deve rispondere di qualcosa di fronte alla legge. A quel che se ne sa, non ha commesso reati. A differenza, ad esempio, del figlio di Riina che, nonostante la giovane età ne ha già commessi parecchi, lui,infatti, è incensurato.
Ma noi lo stiamo a sentire perché ha chiesto di parlare con noi. E noi, dal figlio del mafioso che aveva catturato il nostro ascolto, ci saremmo aspettati qualcosa di diverso.
Torna la domanda iniziale: dove vuole andare a parare Provenzano junior, al secolo Angelo Provenzano? Per evidenziare le gravi condizioni di salute di un congiunto detenuto, ci stanno gli avvocati. Allora?
Forse, la chiave dell’arcano, sta in quella <<ouverture>> sulla strage di Portella della Ginestra, dalla quale partì un filo nero che ha attraversato oltre mezzo secolo di storia italiana; da quella notte in cui mafia e Stato si manifestarono in simbiosi. Ha detto, a questo proposito, Angelo Provenzano: << Avendo fatto caso a quello che è successo a Portella della Ginestra, mi sembra un copione che è stato recitato una seconda volta>>. Può anche averlo letto sui libri.
Queste sono cose che solo Bernardo, suo papà, può sapere per conoscenza diretta. Come sa benissimo che mai, come in questa fase, grazie a un pugno di magistrati che non arretrano, ci si sta avvicinando a spalancare quelle botole rimaste chiuse per decenni.
I due Provenzano, padre e figlio, spingono perché quelle botole vengano finalmente aperte? O perché rimangano chiuse in eterno?
Angelo Provenzano, essendo giovane e, presumibilmente, all’oscuro, non ha la forza né per l’una né per l’altra soluzione. D’altra parte, se suo padre stesse meditando di dare un taglio al passato, l’apparizione in tv di Angelo si sarebbe modulata su altri registri.
Un’ultima sottolineatura.
Angelo Provenzano: << E ora è arrestato (il riferimento è a suo padre n.d.r. ). C’è un posto vacante. Chi si sente di far parte di uno Stato che non applica i diritti, può prendere posto su quella poltrona, perché altrimenti dobbiamo metterci in testa di rispettare la legge>>. Il tutto viene ribadito, in altro passaggio del discorso, da quell’inciso greve: <<altrimenti la violenza genera altra violenza>>.Concludendo.
Bernardo Provenzano ha mandato a dire che ha fatto la sua parte, e che lascia al popolo di mafia libertà di coscienza: o riempire il vuoto, assicurando l’ennesima transizione di Cosa Nostra, o rassegnarsi a tributare <<rispetto>> verso lo Stato nemico.
Certo è che se Provenzano Senior ritiene che la sua <<poltrona>> sia rimasta vuota, se ne dovrebbe dedurre che non considera di altissimo profilo la figura di Matteo Messina Danaro, il suo successore. E questo aprirebbe un problema non di poco conto.