di Simona Silvestri
Ci vorrebbe un Grande Fratello delle vittime dell’amianto. Così, forse, si troverebbe lo spazio necessario per parlare di un dramma quotidiano che non riguarda soltanto Casale Monferrato, Rubiera, Bagnoli e Cavagnolo.
Quella di Broni è una storia poco conosciuta, ma ugualmente tragica. Nel paesino dell’Oltrepò pavese, dal 1919 è stata in funzione la Fibronit, uno stabilimento dove si lavorava prima il cemento, e dal 1932 il cemento amianto. La fabbrica occupava un’area di 14 ettari vicina alle case, e al suo interno venivano prodotti tubi, tetti ondulati, canne fumarie per i camini e molto altro ancora, per una quantità stimata intorno alle 8.000 tonnellate all’anno. Fino al 1993 la fabbrica ha funzionato a pieno regime, nonostante i continui cambi di gestione: a imporne la chiusura, finalmente, la legge 257/92 che mise al bando l’amianto e impose la dismissione degli impianti nei quali questo materiale veniva lavorato. Troppo tardi, perché le polveri oramai avevano sortito il loro effetto e contaminato l’ambiente. Secondo Costanza Pace, vicepresidente dell’Associazione Italiana Esposti all’amianto di Broni, il numero dei morti si aggirerebbe intorno alle settecento vittime, ma non esistono fonti certe ad attestarlo. Soprattutto per chi è deceduto prima degli anni Novanta, in molti casi è difficile documentare la presenza del mesotelioma o dell’asbestosi, nonostante la sintomatologia non lasci molti dubbi: in molti, allora, misconoscevano la pericolosità dell’amianto e non esistono biopsie a supporto della documentazione.
La conta delle vittime, preoccupante, è destinata a crescere, secondo un rapporto Legambiente del 2009 in base al quale l'incidenza delle neoplasie alla pleura, compresi i mesoteliomi, i tumori polmonari e quelli peritoneali, sarebbe evidente non soltanto tra gli ex operai della Fibronit ma anche nei residenti di Broni e dei vicini paesi, come Stradella, Cigognola, Bastida Pancarana e Redavalle. Mogli che lavavano a casa le tute da lavoro dei mariti, cittadini che abitavano accanto alla fabbrica, il postino che consegnava la posta all’interno dello stabilimento. Vittime inconsapevoli di un veleno silenzioso, che agisce nel silenzio e colpisce anche a distanza di anni. E, infatti, il dato ancora più preoccupante è che il picco di mortalità non è stato ancora toccato, ma sarà raggiunto soltanto nel 2015-2020, quando gli effetti dell'esposizione all’amianto raggiungeranno l’apice.
Per il disastro di Broni ancora non ci sono colpevoli ufficiali. La Procura di Voghera ha chiuso l’inchiesta che ha portato all'incriminazione di dieci persone, tra le quali alcuni amministratori e dirigenti dello stabilimento. L’imputazione è pesante: disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravi e rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Ora i cittadini sperano in un processo esemplare, proprio come quello cominciato a Torino contro i vertici della Eternit.
A fronte del procedimento giudiziario infine non deve essere sottovalutata la problematica ambientale. La zona dell’ex stabilimento, e i terreni circostanti, sono stati contaminati dalle polveri e devono essere bonificati. In questi giorni i consiglieri regionali Monguzzi, Muhlbauer e Porcari hanno presentato un progetto di legge alla Regione Lombardia per sbloccare gli interventi alla tutela dell’ambiente e soprattutto della salute dei cittadini, che stabiliscono nel 2016 il termine ultimo per la bonifica totale dall’amianto in tutta la regione. Un’operazione necessaria, se si considera che la provincia di Pavia detiene il primato in Italia per il numero di casi di mesotelioma: a Broni l’incidenza del tumore ai polmoni è superiore al 25% rispetto alle attese.