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Il dramma di Favara e la protesta di un Vescovo
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di Rino Cascio

Il dramma di Favara e la protesta di un Vescovo Alla politica non ha mai fatto sconti. Da Presidente della Caritas denunciò che aveva "abbandonato il Sud dove vivono il 70% delle famiglie povere", da vescovo che "dopo aver creato il fenomeno del precariato non vuole farsene più carico". Monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, è fatto così. Non ha peli sulla lingua e davanti alle tragedie o ai rischi di tragedie non conosce diplomazie. Ultimamente ha puntato il dito contro le leggi sull’immigrazione "contrarie a principi di umanità e carità" sino al dare il via libera provocatoriamente nell’ultimo Natale in cattedrale ad un presepe senza re Magi giustificando l’assenza con un cartello “respinti alla frontiera insieme ad altri immigrati”, ma ha anche alzato la voce contro il dissesto del territorio che mette a rischio la vita di intere comunità, soprattutto le più povere, costrette a vivere in abitazioni precarie, senza manutenzione, a rischio crollo.
Davanti ad un movimento franoso che ad Agrigento – dopo la manifestazione più pesante del 1966 – prosegue quotidianamente facendo scivolare lentamente a valle un intero quartiere (sotto la cattedrale la cui scalinata d’ingresso è fortemente danneggiata) , davanti ad una politica che continua a parlarne senza prendere provvedimenti concreti, davanti alle centinaia di morti sotto tonnellate di terra a Giampilieri, nel messinese, tre mesi fa ha avvertito tutti i vertici istituzionali con una lettera aperta: "Chiedo al Signore che non arrivi mai il momento di dovermi rifiutare di celebrare funerali “previsti” o “preannunciati”, perchè quel giorno, se mai dovesse arrivare, il mio posto sarà tra la nostra gente a pregare, non me la sentirò di parlare". Ed invece “quel giorno” è arrivato. Parlare di scandalo criticando la sua scelta di non salire sull’altare di Favara davanti alle bare bianche di due bambine – come stanno facendo ora tanti amministratori locali – è da ipocriti.
Monsignor Francesco Montenegro ha voluto infatti essere coerente. "Il mio posto – ha scritto alla vigilia del funerale per le vittime dell’ennesimo crollo annunciato – è tra la gente di Favara. Non è un sottrarmi al ruolo di vescovo, di pastore della porzione di un Popolo che il Signore mi ha affidato – ha scritto – ma un farmi solidale  in un giorno che è di preghiera e di silenzio". E’ toccato al parroco chiamato a celebrare l’omelia funebre denunciare, come aveva già fatto il suo Vescovo, chi "ha disubbidito" alle leggi dello Stato e di Dio concorrendo "a questi omicidi di bambine". Puntare il dito contro "profittatori, pigri, speculatori, accaparratori, coloro che mangiano rubando al prossimo e calpestando la giustizia", contro coloro che si sono "imboscati nel loro servizio di uffici e di burocrazia, nascondendo carte o aspettando che ci si umiliasse a chiedere, a cercare raccomandazioni".
Ma tutto questo, ancora una volta, non è bastato a far riflettere, a far emergere il pudore del silenzio. La politica responsabile di aver lasciato vivere intere famiglie in abitazioni fatiscenti quando c’erano alloggi popolari disponibili, che ha lasciato disabitati ed incustoditi alloggi popolari rendendoli facili bersaglio di vandalismi quando c’erano tanti senza tetto che vi si sarebbero riparati e li avrebbero difesi dalle speculazioni, questa politica sembra avere imparato la lezione di chi altrove, più in alto, in palazzi istituzionali nazionali, non ammette mai critiche e perplessità sul proprio operato. Questa politica ora denuncia il vescovo di avere alimentato con il suo comportamento le polemiche. Polemiche che sembrano pesare su questa politica più del rimorso per le morti annunciate di due bambine. Più della vergogna.

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