di Gian Mario Gillio
Può esserci un’etica condivisa nella nostra società sempre più pluralista, multietnica, interreligiosa? A questa domanda cercheranno di rispondere sabato 30 gennaio dalle 10 presso il Comune di Roma, Sala Gonzaga, alcuni esperti e intelletuali come Francesca Koch, Stefano Ciccone, Francesco Zanchini, Giovanni Franzoni, aprendo una discussione su: sesso, famiglie, fine vita e soggetti delle relazioni. Questioni e domande alle quali si cercherà di rispondere con l’incontro previsto nel pomeriggio e coordinato da Emilio Carnevali di Adista con una tavola rotonda insieme ai responsabili di diverse fedi religiose e umanisti, tra i quali, Laura Pegna, Adnane Mokrani (islamico), Maria Angela Falà (buddista) e Giovanni Cereti (cattolico). Le sensibilità all’interno del mondo cattolico sono articolate e plurali più di quanto si possa credere rispetto alla “non negoziabile” posizione dei vertici della Chiesa cattolica italiana. E le altre? Quali posizioni hanno? Il tema si annuncia dunque interessante ma assai articolato e complesso. Il filosofo Michele Martelli nel suo libro “Senza dogmi” rileva: «La differenza tra assolutismo e relativismo etico è certamente di metodo, non di merito. Il relativista non rifiuta per principio i valori etici dell’assolutista, ma li sottopone al dubbio, alla discussione, alla verifica. È pronto a modificarli e migliorarli, perché li ritiene non discesi dal cielo, ma prodotti dalla storia, dal rapporto intersoggettivo ed etico-discorsivo tra gli uomini. In questo senso, un principio etico ragionevole è quello di prendersi cura dei più deboli, di chi è (stato reso) incapace, impossibilitato a difendersi». In Italia, più che in altri paesi, le battaglie sui temi etici sono all’ordine del giorno. Il Papa, Ruini, La Cei, politici di diversi schieramenti, di paesi e di culture differenti, hanno fondato e messo nelle relative agende politiche di questi e dei prossimi anni le questioni legate alla difesa della vita e della famiglia come sfide e priorità assolute. Elena Del Grosso, genetista dell’Università di Bologna nell'introduzione al libro "Non si gioca con la vita" di Eleonora Cirant, rileva: «Se da una parte c’è un dato oggettivo che le biotecnologie della vita pongono e che hanno a che fare con le tantissime opportunità che si aprono ai più diversi orizzonti, individuali e collettivi, dall’altra parte c’è una percezione soggettiva, soprattutto da parte della classe dominante, di una necessità di rinnovare i meccanismi di controllo della cittadinanza che guarda tanto la sfera privata che quella pubblica. […] Allora il corpo, quello nostro vero, fatto di carne e ossa, diventa sempre più uno spazio pubblico in cui si giocano i conflitti tra i diversi attori che si contengono i potere di controllo e che trovano nella chiesa e nelle religioni, nello stato e nella scienza le categorie filosofiche, giuridiche, morali e scientifiche necessarie a costruire le politiche corrispondenti». Già nel 2007 il Sinodo della Chiesa Valdese aveva approvato un ordine del giorno in cui si affermava che «la cura del malato, in ogni suo aspetto, deve sempre presupporre il suo consenso». Nessuno, «neppure i parenti», dovrebbe essere dunque «abilitato a esprimere la volontà del paziente in vece sua». «È principio di civiltà», si leggeva ancora nell’ordine del giorno, «dare voce, attraverso una legge, alle scelte della persona compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero».
Ora la Chiesa valdese di Milano ha deciso di conferire ancor più concretezza a questa presa di posizione organizzando un registro delle “Direttive anticipate per i trattamenti sanitari”. L’iniziativa, la prima in Italia promossa da una Chiesa, è aperta a tutti i cittadini. «Alla presenza di un notaio», ha spiegato il pastore valdese di Milano Giuseppe Platone, «i testimoni necessari, tutte formule per rendere giuridicamente valido un atto privato. E chi vorrà potrà, finalmente, lasciare le proprie indicazioni sulle cure che vuole o non vuole gli siano praticate nel caso in cui, un giorno, non potesse esprimere la sua volontà». Alla conferenza stampa di presentazione, svoltasi a Milano lo scorso 2 dicembre, l’intervento di Beppino Englaro: «È un’idea apprezzabile – ha affermato – soprattutto perché proviene da cristiani laici che si sono coraggiosamente impegnati per una battaglia per la libertà e i diritti fondamentali delle persone. Spero che questa iniziativa sia di stimolo alle autorità pubbliche». Il formulario del “testamento valdese” prevede la possibilità di rifiutare alimentazione e idratazione artificiali. Il modulo si conclude con una parte concernente le “Disposizioni dopo la morte”, dove è possibile indicare se si desidera o meno “un funerale religioso secondo la confessione di fede” professata dall’autore del testamento. Ma quale significato si può dare all’espressione fine vita, può esserci un significato univoco tra le diverse fedi o culture? «La stessa espressione “fine della vita” sembra riduttiva. Riduttiva – rileva Giovanni Franzoni, teologo e scrittore e fondatore delle Comunità di base – per coloro che hanno fede in una sopravvivenza spirituale, e questi non sono solo religiosi dell’area ebraico-cristiana-islamica, perché fra gli induisti può essere praticato il digiuno fino alla morte per desiderio di accedere ad una vita spirituale più fruttuosa: tutti ricordiamo il digiuno fino all’estinzione di Vinoba Bave, l’illustre e fedele discepolo di Gandhi, bramoso di liberarsi dall’esistenza corporea per passare ad una attività spirituale in cui credeva con tutta la sua anima. Riduttiva anche per coloro che, pur non avendo una fede nella sopravvivenza spirituale, credono fermamente che una vita non finisca, se la memoria del vivere e del morire coerentemente di una persona lascia una traccia profonda e sopravvive in coloro che hanno condiviso il suo vivere e il suo morire. Chi ha seguito il percorso spirituale di Welby sa benissimo che la sua vita, per coloro che lo hanno amato, non è finita. […] A molti – conclude Franzoni – pare che inchinarsi all’ultima libera scelta della persona, per quanto riguardi le terapie da prestargli nel suo vivere il morire, sia un atto dovuto, nobile e perfino, nel caso di un credente, religioso. Nel racconto biblico Dio, nel dare ad Adam la sua stessa immagine, non l’ha posto sulla strada dell’esercizio della libertà?». L’incontro Un'etica condivisa per una società pluralista, promosso da Liberamentenoi, la Tenda, Cdb San Paolo, Gruppo di controinformazione ecclesiale, Cipax, Noi Siamo Chiesa - nodo romano, Koinonia, Adista e Confronti, richiama l’ultima fatica editoriale di padre Enzo Bianchi “Per un’etica condivisa” nel quale il priore di Bose torna a riflettere su un tema che sente urgente, ineludibile: il necessario confronto tra credenti cristiani e laici. Un rapporto che se fino a poco tempo fa era improntato al dialogo, ma che ultimamente sembra sempre più inasprirsi con atteggiamenti diffidenti, se non di scontro aperto. Per padre Bianchi «Il fine resta sempre quello di cercare insieme, laici e cristiani, ciò che è bene per l’uomo e la società, trovando ponti di comunicazione e di confronto reciproco. Perché la preoccupazione e la passione per la polis condivisa da laici e cristiani deve riuscire ad affermare un mondo edificato insieme, uno spazio vigile di libertà in cui tutti possano operare per il bene della comunità e perseguire la propria piena umanizzazione». Oggi più che mai è urgente interrogare le tradizioni di fede sul loro rapporto con le questioni etiche e bioetiche e su cosa dicono i loro libri sacri riguardo a questo tema, senza dimenticare la dimensione culturale, sociale e politica che il nostro paese oggi attraversa. Facciamo nostro l’appello di Brunetto Salvarani, direttore di Cem Mondialità, che nel suo ultimo editoriale invita a ricercare: «un’etica condivisa, non come se Dio ci fosse o non ci fosse, ma piuttosto come se la discussione sull’esserci o non esserci di Dio fosse sospesa. Non una negazione della presenza del religioso nella vita quotidiana, né un relegare il fatto religioso nell’enclave del privato, ma il laico convincimento che un sostegno della gente di fede agli ordinamenti democratici è un rafforzamento oggi necessario dello stato liberale».
*direttore della rivista “Confronti”
Liberamentenoi, la Tenda, Cdb San Paolo, Gruppo di controinformazione ecclesiale, Cipax, Noi Siamo Chiesa - nodo romano, Koinonia, Adista e Confronti
organizzano un incontro su
Un'etica condivisa per una società pluralista
Roma 30 gennaio 2010
Comune di Roma
Sala Gonzaga
Via della Consolazione, 4
Roma
PROGRAMMA
Ore 10.00: Introduzione e presentazione del convegno a cura di Gian Mario Gillio direttore di Confronti
Saluto di Paolo Masini
Francesca Koch: I soggetti delle relazioni Stefano Ciccone : Sesso, genere e orientamento
Francesco Zanchini : Famiglie: sostantivo plurale
Giovanni Franzoni: Il fine vita: liberi di scegliere
Dibattito
Ore 13.00 Buffet
Ore 15.00 Confronto a più voci coordinato da Emilio Carnevali di Adista
Per un’etica condivisa in “assenza” di una Legge Naturale: quali fondamenti?
Laura Pegna (umanista), Adnane Mokrani (islamico), Maria Angela Falà (buddista), Giovanni Cereti (cattolico).
Dibattito e conclusioni.