di Marco Curatolo
È uno dei circa 40 giornalisti attualmente detenuti nella Repubblica Islamica dell’Iran. Masoud Bastani è in carcere dal 5 luglio 2009. Sua moglie Mahsa Amrabadi, giornalista anche lei (lavorava per Etemad e-Melli, il quotidiano controllato da Mehdi Karoubi) era stata arrestata alcuni giorni prima da agenti dei servizi segreti. In quel momento Masoud non era in casa. Quando si recò a chiedere informazioni sul conto di lei, venne immediatamente spedito in isolamento nella sezione 209 della prigione di Evin. Un agguato in piena regola.
Mahsa, dopo due mesi e dieci giorni di carcere, è stata rilasciata su cauzione (era il 24 agosto). Masoud è rimasto in prigione. Sono passati, nel frattempo, sette mesi.
Bastani lavorava per il sito web gestito da Mehdi Hashemi-Rafsanjani, figlio dell'ex presidente della Repubblica Islamica, una delle figure chiave del quadro politico iraniano. Nel corso del processo pubblico dell'estate scorsa, Masoud è stato costretto a confessare (udienza del 25 agosto) che nei giorni delle elezioni per quel sito aveva confezionato e pubblicato falsi sondaggi e statistiche con lo scopo di accreditare la tesi dei brogli elettorali; che, inoltre, su incoraggiamento di Rafsanjani junior, sarebbero stati progettati attacchi mediatici contro il presidente Ahmadinejad e contro le altre maggiori istituzioni del paese.
A Masoud Bastani la forzata confessione non ha portato benefici. È stato non solo interrogato, ma anche processato senza che il suo legale, Mohammad Sharif, fosse presente. L'avvocato Sharif non ha potuto prendere visione dell’incartamento e non è stato neppure informato che il suo cliente sarebbe stato portato in tribunale. Lo ha appreso da una telefonata di Mahsa Amrabadi. Quando ha provato a registrare ufficialmente il suo mandato di difensore, Sharif si è sentito rispondere: "Troppo tardi, ormai il processo di I grado è finito, sarà per il grado successivo."
Al termine di quello che si fa fatica a definire un "processo", Masoud è stato condannato a 6 anni di prigione: uno per propaganda contro il sistema, cinque per avere partecipato alle proteste e incoraggiato la rivolta. E, in attesa dell'appello, è stato lasciato in galera a Evin benché il giudice avesse previsto da mesi la possibilità del rilascio su cauzione.
Costretto a subire in primo grado un processo e una condanna senza assistenza legale, Bastani sa già che, nel corso dell'udienza di appello, la sola forma di difesa che gli verrà concessa sarà una memoria scritta. In spregio di qualsiasi standard internazionale del giusto processo.
Ma i guai di Bastani non finiscono qui. Pochi giorni fa, al telefono, Masoud ha avvisato sua moglie che lo stavano per trasferire dalla sezione 350 di Evin (a Tehran) al carcere ancor più temuto di Rajai Shahr (a Karaj). Si tratta di un penitenziario in cui il trattamento dei prigionieri è considerato particolarmente duro – “disumano”, viene definito da più parti - e in cui sono reclusi detenuti condannati per reati comuni.
Fonti iraniane ci fanno sapere che Masoud Bastani si trova ora nella stessa cella con 5 condannati per omicidio, tutti in attesa di essere giustiziati. Una laconica email personalmente inviataci da Mahsa Amrabadi il 28 gennaio scorso conferma la notizia: “I feel so worry about my husband, because he is with murderers and addicted.” Risibile la motivazione ufficiale del trasferimento: sarebbe un provvedimento punitivo dovuto a presunte lezioni di giornalismo che Bastani avrebbe svolto a Evin per i suoi compagni di prigionia. “Vogliono metterlo sotto ulteriore pressione”, spiega invece Mahsa a Reporters Sans Frontières.
“Guardate bene la foto di Masoud Bastani – scrive un’amica iraniana – e provate ad immaginare: in questo momento si trova in una cella in mezzo a degli assassini.