di Gianfranca Fois
I cartelloni, dallo sfondo nero, a fianco della via, dicono NOI RICORDIAMO. Sì, ricordiamo, dobbiamo ricordare le donne, i vecchi, i bambini, i giovani, i fascisti, gli antifascisti, in gran parte italiani, strappati dai partigiani di Tito dai loro paesi, dalle loro case, torturati e uccisi nelle carceri e nelle miniere o gettati, spesso vivi, nelle spaccature dei terreni carsici, foibe, morti di stenti o liquidati in campi di concentramento (un solo nome Borovnica) in quei terribili mesi della primavera-estate del 1945.
Dobbiamo ricordare gli italiani di lingua slovena e croata perseguitati dal fascismo, costretti a dimenticare la propria lingua, la propria identità, a chiudere le proprie scuole e i circoli culturali, a pregare in una lingua non propria, a veder bruciare la casa della propria cultura in una scellerata bonifica etnica. Essi ora vivono nelle pagine sofferte, intense di Boris Pahor, scrittore italiano di lingua slovena di libri conosciuti e ammirati da decenni in tutta Europa, tradotti in italiano da pochi anni.
Dobbiamo ricordare la terribile occupazione da parte dell’Italia fascista della Slovenia, delle coste dalmate, il clima di terrore, di odio e di violenza, le rappresaglie contro le popolazioni, gli eccidi di civili . E poi i campi di concentramento per gli “slavi”, termine dispregiativo nell’Italia fascista per indicare sia gli Jugoslavi dei territori conquistati sia le minoranze slovene e croate italiane della Venezia Giulia. Campi di concentramento in territorio italiano (uno per tutti quello di Gonars) e in territorio sloveno come il famigerato lager dell’isola di Arbe nel golfo del Quarnero. Nell’isola di Arbe furono trasportati a partire dal 28 luglio 1942 circa 10.000 civili sloveni, croati, ebrei, compresi donne, bambini,anziani. Non si sa con certezza in quanti nella sola isola siano morti ( forse 4500), la maggior parte di fame. Il tasso di mortalità al giorno era del 19 per cento e superava anche quello registrato nel lager nazista di Buchenwald (15 per cento).
Numerosissimi italiani, dopo il 1945, sono stati costretti ad abbandonare i territori, in cui vivevano da centinaia di anni, passati alla Jugoslavia sotto la dittatura socialista di Tito, per cercare rifugio in Italia e allo stesso modo numerosissimi italiani di lingua slovena e croata, a partire dagli anni venti, sono stati costretti dalle persecuzioni della dittatura fascista ad abbandonare i territori italiani, in cui vivevano da centinaia di anni, per cercare rifugio in Jugoslavia e nell’America latina.
Il computo delle vittime e delle angherie di una parte e dell’altra non serve però per una contrapposizione (miserabile esercizio) o per la ricerca di giustificazioni (d’altra parte si tratta della semplificazione schematica di vicende estremamente complesse), ma serve solo per sottolineare l’entità di un massacro che non possiamo dimenticare.
Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, gli anni della guerra fredda, fecero calare un quasi totale silenzio su tutte le vittime, si smise di cercare, processare come criminali di guerra i colpevoli degli eccidi che rimasero quindi impuniti (ricordiamo che l’Italia, a differenza di Germania e Giappone, suoi alleati, non ebbe il suo “processo di Norimberga”), mentre la memoria rimaneva all’interno delle famiglie degli uccisi, delle popolazioni giuliane e dei lavori degli storici.
Ma un paese che si vuole considerare democratico deve fare i conti col proprio passato, richiamare alla luce anche vicende rimosse perché vergognose per una nazione civile, altrimenti queste rimozioni alla fine daranno il loro frutto avvelenato.
E’ successo così che, negli anni novanta, la destra italiana si sia impadronita della memoria delle foibe in modo strumentale e privo di qualsiasi riflessione storica che aiutasse a contestualizzare gli avvenimenti, arrivando anzi anche a quello che si può considerare un vero e proprio uso pubblico della storia.
E questo è potuto accadere in un paese privo di memoria, con una sinistra pavida che non è stata in grado, o non ha voluto portare avanti una approfondita e completa analisi del massacro delle foibe e della tentata pulizia etnica da parte dei fascisti nei confronti dei croati e degli sloveni sia italiani che jugoslavi.
E ora il 10 febbraio (“Giorno del ricordo” delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata istituito per legge il 30 marzo 2004) la destra italiana e quei movimenti che si riconoscono eredi del fascismo manifestano in tutta Italia diffondendo una loro “verità storica” riveduta e parziale , prevalentemente in chiave anticomunista e antislava.
Commemorare la giornata delle foibe ha dunque un senso solo se essa diventa per tutti noi l’occasione per rivedere in tutti i suoi aspetti il nostro passato, per poterci riappropriare della nostra memoria, memoria intera e non parziale, di ciò che noi italiani, di lingua italiana, slovena o croata abbiamo sofferto e di ciò che, con la dittatura fascista, abbiamo fatto soffrire anche fuori dai nostri confini.