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Primarie, privacy di un elettore
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di Federico Orlando

Primarie, privacy di un elettore

Per me la giornata è cambiata da così a così quando, a un'anziana donna in  fila – meno anziana di me, ma più scassata, in apparenza - gli addetti al seggio hanno obbiettato che non poteva votare, non aveva portato la tessera elettorale. “Vai a casa e torna”, col solito “tu” che nei paesi, come nelle interviste delle giornaliste televisive, si dà a proposito e a sproposito. “Vado, torno, con  queste gambe?” Allora mi scatta il ricordo della Giornata di uno scrutatore di Italo Calvino, e saltano tutti i miei progetti di votare e raggiungere il mare fra le casacce che edili di destra, di sinistra, di centro gli hanno messo davanti, per nasconderlo alle nostalgie. Ho votato, ho convinto gli attivisti della sezione ad esporre in modo più evidente e di richiamo le bandiere del Pd, e ho caricato la signora in macchina, poi siamo tornati in sezione, poi l'ho riaccompagnata a casa. Ho passato molte ore a fare il tassista, come ai tempi di don Camillo e Peppone.  Prima la costa nord di Roma, poi Roma tra piazza Fiume, Santa Emerenziana, Parioli, Salario, Nomentana...Grazie a Calvino. Nel '53, quand'io votavo la prima volta, lui faceva lo scrutatore del Pci al Cottolengo di Torino. Ordine perentorio: controllare che preti e monache non portino al seggio degenti incapaci di intendere e di volere. Era la guerra all'ultimo voto, si trattava di far scattare o no la”legge truffa”, che scattò un po', ma non si ebbe il coraggio di farla scattare del tutto, e quindi non scattò. Calvino, al primo, al secondo, al terzo tentativo di far votare i “degenti incapaci”, fece il carabiniere. Poi, via via che il corteo dei dolori gli passava avanti, l' opposizione si fece sempre più flebile, alle ragioni del partito si sovrapponevano quelle della generale umanità; il dolore e la deformità piegavano l'ideologia, la giornata di uno scrutatore divenne la giornata della solidarietà nell'angoscia. 
Così, di sezione in sezione, cerco disabili o vecchi, respinti per deficit di documentazione. Che si fa? Si accompagnano a casa a colmare il deficit, si riportano in sezione e quando hanno votato li si riporta a casa: felici loro d'aver partecipato alla grande festa della democrazia, felici noi che a 3 milioni di partecipanti non ci credevamo.  Vedo in fila anche amici di altri partiti, più di sinistra, che cercano  un focolare da cui ripartite. A Piazza Fiume vedo  Giulia, la nostra ex stagista di Europa, laureanda a giorni, che fa compunta e ridente la scrutatrice, e telefono alle mie nipoti, anche loro non Pd, che hanno già votato. “Ma per il candidato meno probabile”, precisano. Hanno il broncio con noi (?) perché i loro compagni fuori sede non ce la facevano tornare in Calabria o in Abruzzo o in Puglia, votare, e rientrare a Roma. Già, quante ere geologiche sono passate dai treni degli emigranti, che da Svizzera, Belgio, Germania, perfino Inghilterra rientravano in Italia per votare con le bandiere rosse ai finestrini, e il giorno dopo tornavano alle loro catene di montaggio o alle loro miniere.
La gente in fila si conforta coi volti conosciuti, più d'uno mi riconosce e mi chiede se, finalmente,  “questo benedetto partito” si occuperà anche in piazza dei problemi italiani, senza altre polemiche fra i capi: le primarie sono belle – è il refrain – , non abbiamo padroni, ma dopo le primarie viene  il duro lavoro di governare dall'opposizione, vero? Vero. Sono persone di mezza età, in certe ore più donne che uomini, il ceto medio riflessivo, frustrato ma senza ira. In alcuni gazebo ci sono molti giovani, in altri pochi. Chiamo il nipote omonimo, minorenne, 17 anni: Hai votato? “No”. E perché? “Sai, pensiamo che  giornate come questa siano episodi. Non  ci aspettiamo nulla di continuativo, tutto finisce stasera, qui nel nostro comune è candidato l'uomo di ieri, di oggi e di domani. Scusa nonno, so che ti dispiace”. Sono i discorsi dei grandi, che scavano la roccia dei piccoli. Interviene il padre ad addolcirmi la pillola: “Se parli con Bersani, Franceschini o Marino (ecco un altro che sta sulla luna, pensa che si parli con Bersani Franceschini o Marino solo perché scrivi articoli su Europa, ndr), digli che ci sono giovani che si darebbero da fare per la politica, ma loro gli diano la sensazione di non considerarli solo strumenti per votare. Prima che vadano in piazza con le banane, come a Parigi”. E io sto facendo il tassinaro, come ai bei tempi. Un interno di famiglia. Così, per contrappasso, la sera attendo i risultati al teatro India, con Festa di famiglia, Pirandello più Camilleri, della splendida Manuela Mandracchia (testo e regia) e di altri cinque attori:una madre, tre figlie e due mariti o compagni, tutti alienati o conniventi con la “pazzia” di altri: ci siamo tutti, con la nostra malinconia di Fu Mattia Pascal, o con la vitalità pagana di Liolà, insomma il frullato di generazioni e condizioni dell'Italia 2009. Ci manca solo di sapere se da un simile interno di famiglia possiamo uscire per un esterno migliore. Ce lo dirà Bersani?


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