di Duilio Giammaria
Sembrerebbe arrischiato dire che in Afghanistan potremmo essere vicini ad una svolta. L’odore acre dell’esplosione che ha devastato un isolato del centro di Kabul provocando quasi venti morti, tra cui lo 007 italiano e molte decine di feriti, è ancora percepibile. Le ambasciate e le organizzazioni internazionali continuano ad alzare sempre nuovi e più spessi muri. Il quartiere generale dell’Isaf assomiglia sempre più a un bastione medievale circondato da tre fila di difesa. Dopo la battaglia di Marja appena finita, si incomincia a parlare già di un’operazione intorno a Kandahar. Insomma tutto sembra indicare che la battaglia militare per riprendere le zone in mano ai talebani è ancora in atto.
Pochi ricordano che è già la quarta volta che la zona di Helmand viene riconquistata. Ogni volta i talebani hanno lentamente ripreso il controllo. Da almeno due anni invece, prima timidamente, poi sempre più esplicitamente si parla di dialogo. I segnali, per ora quasi invisibili, di una trattativa politico-diplomatica, ci sono. Qualche settimana fa il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha
cancellato dalla cosidetta “black list” 5 esponenti politici che avevano avuto ruoli di primo piano nel governo talebano. Poi lo stesso Segretario Generale dell’UNAMA (Missione ONU in Afghanistan) ha partecipato ad una riunione con esponenti talebani. L’arresto di figure chiave della Jihad Afghana, tra cui il comandante talebano Baradar, figura di spicco dell’organizzazione militare dell’insorgenza talebana, potrebbe essere uno di questi segni. Finito nelle maglie della CIA, sarebbe
stato arrestato dalle forze di sicurezza pakistane, proprio perché sarebbe uno di quei talebani che avrebbero aperto il dialogo. Potrebbe essere un modo per i pakistani per rimanere al centro di qualsiasi trattativa: da alcune parti l’arresto viene percepito per ora come uno stop al dialogo.
Nelle scorse settimane una delegazione pakistana di alto profilo, al cui interno figuravano alcuni esponenti che negli ultimi dieci-quindici anni hanno guidato, in un verso o nell’altro la presenza dei talebani in Afghanistan, è venuta a Kabul.
Non si è trattato di uno degli innumerevoli e poco fruttuosi incontri intergovernativi tra Afghanistan e Pakistan che si sono ripetuti a scadenze regolari. Poco visibile, ma di sostanza, la delegazione pakistana ha incontrato Mustafa Zahir Shah, il nipote del recentemente scomparso King Zahir Shah, che, sostenuto da americani e sauditi, ha tessuto la rete di rapporti con talebani e Alleanza del Nord. Mentre dal terreno dunque giungono segnali preoccupanti, la trattativa sarebbe già a buon punto. Il cambio di strategia maturato a Islamabad, potrebbe essere la tanto attesa e molte volte annunciata “new policy” pakistana nei confronti della rete creata in quasi trent’anni di attività segrete sulla linea Durand. Islamabad sosterrebbe la trattativa per costruire il consenso tra tutte le parti, garantendo la continuità necessaria e passerebbe al pettine fine la sua rete di intelligence per evitare nuovi appoggi al radicalismo da entrambi i lati della frontiera. Per Islamabad è un eccellente metodo per contenere l’influenza indiana in Afghanistan e per ridiventare, anche agli occhi della comunità internazionale, l’ago della bilancia della stabilizzazione. Lo stesso Karzai dopo la visita ufficiale a Islamabad ha dichiarato che il governo afgano può avere rapporti diretti con i talebani: a diversi livelli, sino al Mullah Omar. La svolta è veramente vicina?