di Sergio Lepri
Cari amici,
quello che è successo lo sappiamo tutti. Ma sappiamo tutti perché è successo? In realtà, i perché sono tanti; io parlerò di quello sul quale mi si riconosce qualche competenza (sessantacinque anni di professione giornalistica e qualche saggio, leggibile sul mio sito in Internet <www.sergiolepri.it>). Questo “perché” è la disinformazione di molti sull’informazione politica in televisione.
1. Gran parte della dirigenza politica del centrosinistra e della sinistra mostra di ignorare le caratteristiche di quel terribile medium che è la televisione. Ricordiamole.
a) Diversamente dagli altri media (giornali stampati e radio) la televisione è un medium che non si limita a trasmettere messaggi ma è essa stessa un messaggio; lo scrisse 47 anni fa Marshall MacLuhan: la tv modifica le nostre strutture conoscitive non soltanto per i suoi contenuti informativi ma anche per le tecniche con cui l’informazione viene trattata.
b) E’ l'immagine che fa la differenza; la parola ascoltata pone problemi di comprensione e suggerisce distrazione; l'immagine, no: è coinvolgente perché è - o sembra - la realtà.
c) Rispetto all'intelligenza attivata dal linguaggio, l'intelligenza attivata dalle informazioni visive è un'intelligenza che non presuppone necessariamente particolari condizioni di fruizione, tecniche o culturali; è un'intelligenza psicologicamente infantile.
d) La forza prepotente dell'immagine spiega così i tre fenomeni del consumo televisivo: la nascita di una "telerealtà" (appare vero - anche se falso - quello che si vede in tv), la spettacolarizzazione del reale (ogni fatto diventa tanto più importante quanto più è spettacolo), l'adozione dei sistemi della pubblicità nella rappresentazione della realtà (suggestione psicologica e enfatizzazione della qualità del prodotto).
e) Così si spiega la comunicazione politica in televisione: lo spettacolo comporta dei personaggi; l'uomo politico si fa personaggio; il personaggio creato dalla tv prevale sull'apparato di partito; conta la faccia e il nome, non il partito; il partito diventa un club o una lobby.
f) Attraverso la televisione, tra l'uomo politico-personaggio e il cittadino-elettore-telespettatore si stabilisce un rapporto di "cooperazione testuale": nel personaggio che gli dà fiducia il telespettatore trasferisce i suoi problemi, le sue ansie, le sue speranze, anche i suoi sogni; da fruitore del messaggio il cittadino si trasforma, in certo modo, in autore del messaggio, di cui l'uomo politico è la proiezione, extraverbale e extraconcettuale.
g) Questa platea televisiva comporta anche un certo tipo di linguaggio; i quotidiani a stampa si rivolgono ad alcune fasce socioculturali medioalte del paese, la televisione all'intera società. I dati Istat dicono che il trenta per cento degli italiani ha la licenza elementare come massimo titolo di studio; un trentacinque è provvisto soltanto di licenza media; poco più di un venti per cento ha un diploma di maturità e solo un otto per cento un diploma universitario. Chi parla alla radio e alla televisione deve tener conto che una larga percentuale di telespettatori ha forti limiti in quello che i linguisti chiamano “dizionario mentale”; e che l’intelligibilità del linguaggio si esprime non soltanto nella non-comprensione, ma anche nella cattiva comprensione.
h) Così si spiega certa abile comunicazione politica: il vocabolario di base, non ricercato, non colto, non dotto, affabulatorio e edulcorante; la ripetitività delle frasi (il complotto, le toghe rosse, i comunisti cattivi); la facilità del ricorso a temi che si rivolgono non alla ragione ma all'emotività (l'amore, l'odio, la cura del cancro); la teatralità (il contratto firmato sul tavolo del conduttore, il giuramento con la mano sul cuore); la ricerca di seduzione (la bella figura, il tono della voce e la gestualità, la sicurezza e quindi la persuasività dell'eloquio, per cui la menzogna non viene avvertita come tale né appare una contradizione l'opposto di quello che è stato detto il giorno prima).
2. La classe politica del centrosinistra e della sinistra non ha fatto niente, in tutti questi anni, anche quando era al governo, per opporsi all'uso spregiudicato dei mezzi di persuasione offerti dal medium televisivo e alla manipolazione dell'informazione politica da parte dei telegiornali del Servizio pubblico Rai.
a) Sette anni fa, nel 2003, la rivista americana "Time", osservando i modi dell'informazione politica del giornalismo televisivo italiano, si disse sorpresa di quella che chiamò la "tecnica del sandwich" (noi traducemmo in "tecnica del panino") ossia l'abitudine di collocare i commenti dell'opposizione dopo le dichiarazioni del governo e prima dei commenti della maggioranza (in nome del principio che chi parla per ultimo ha sempre ragione). Si è fatto qualcosa? Niente; anzi.
b) La formula "governo poi opposizione che commenta il governo poi maggioranza che commenta il governo" è cambiata in "governo poi opposizione che commenta il governo poi maggioranza che commenta l'opposizione"; successivamente è cambiata ancora in "dichiarazioni della maggioranza poi commento dell'opposizione poi commento della maggioranza al commento dell'opposizione". Successivamente la formula finale: dopo un Bersani o un Di Pietro che commenta un atto della maggioranza ecco sùbito un Cicchitto o un Capezzone o un Bonaiuti che neppure commenta ma afferma che quello che ha detto Bersani o Di Pietro sono tutte stupidaggini. E' stato fatto qualcosa? Niente. Ma il problema più grave è a monte.
c) In Italia, e solo in Italia, i telegiornali, anche quelli del Servizio pubblico, hanno rinunziato da anni alla loro istituzionale funzione di organi di esclusiva informazione giornalistica per farsi anche strumento di propaganda politica; ci dànno notizia di fatti politici, ma ci dànno anche le polemiche dei partiti sui fatti ai quali si riferiscono quelle notizie; e poi ci dànno anche le polemiche fra i partiti, a prescindere dai fatti della giornata. E’ una pura e semplice propaganda, più o meno squilibrata, per persuadere i telespettatori ovviamente a favore delle tesi della maggioranza; un giornaliero teatrino con le solite facce e le solite frasi, un modo, oltretutto, per accrescere sempre di più la disaffezione dei cittadini per la politica.
d) E’ stato fatto qualcosa per riportare i telegiornali, almeno quelli Rai, al loro dovere di rispondere pienamente ai bisogni informativi dei telespettatori? I telespettatori pagano la Rai anche per avere notizia dei fatti che li coinvolgono nel bene e nel male e li aiutano o li danneggiano nell’organizzazione della loro giornata, familiare e professionale. Anche l’attualità politica è importante, ma la politica intesa come fatti che possono istruirci o condizionare la nostra vita e il nostro futuro; non le polemiche e le contrapposizioni dialettiche. E’ stato fatto qualcosa?
e) Eppure il problema non è rimasto nascosto. Nel 1975 nacque la “Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”. Nel 1995 (presidenza Moratti) una “Carta dell’informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo”. Nel 1995 un decreto del governo (presidente Lamberto Dini) noto come norma della “par condicio”: un codice sciocco e anche comico (stabilire l’imparzialità dell’informazione col pallottoliere e col cronometro), ma che appariva la soluzione meno peggiore per limitare la faziosità dei tg. Nel 1996, in vista delle elezioni politiche del 1996 fu creata una “Unità di garanzia” (composta da due giornalisti senza poteri: Jader Jacobelli e Sergio Lepri; e morta sùbito dopo le elezioni). Nel 1997 nacque l’”Autorità per le garanzie nella comunicazioni”.
f) Abbiamo un’informazione dei tg Rai pluralistica e imparziale? Salvo qualche multa dell’Agcom, sembra proprio di no. Siamo arrivati al punto che il direttore di un telegiornale del Servizio pubblico ci offre ogni tanto il suo parere sulle vicende politiche del giorno, un parere ovviamente coincidente con quello della presidenza del consiglio.
g) La cosa più seria (e emblematica) è stata il messaggio inviato alle Camere dal presidente Ciampi il 23 luglio del 2002. Un messaggio del Capo dello stato al Parlamento è un fatto eccezionale, che accade ben di rado. Era la proposta di una “legge di sistema” per garantire quel pluralismo e quella imparzialità dell’informazione che costituiscono lo “strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”. E’ questo – diceva il messaggio – un tema che investe l’intero sistema dei mezzi di comunicazione, dai giornali alle tv, e che richiede “attenta riflessione”.
h) Da allora sono passati otto anni, le riflessioni non si sono viste e il messaggio è finito nel cosiddetto dimenticatoio. Abbiamo davanti a noi un futuro drammatico. Continueremo a stare zitti e fermi come sassi?