di Shukri Said*
Partiamo da dati normativi inoppugnabili per essere certi di evitare l'accusa di piagnoni e pietisti. L'art. 19, comma 2°, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea testualmente recita: “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.”.
Questa Carta (2000/C - 364/01) proclamata solennemente a Nizza il 7 dicembre 2000, vincola irrevocabilmente lo Stato italiano, al pari degli altri Stati membri della Comunità, al suo rispetto, tanto più che la Costituzione, all'art. 2, impone alla Repubblica l'osservanza dei diritti inviolabili dell'uomo (tra cui quello alla vita) ed il successivo art. 10 impegna l'ordinamento a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
In un colpo solo, nel caso di Faith Aiworo, l'Italia è riuscita a violare la sua Costituzione e una Carta europea.
Faith Aiworo è fuggita dalla Nigeria, a quanto si apprende dal suo avvocato Alessandro Vitale, dopo l'omicidio accidentale di colui che tentava di violentarla. Giunta irregolare in Italia, per due anni non ha trovato modo di ottenere un permesso di soggiorno, ma neppure è stata informata del diritto a conseguire l'asilo proprio perché, nel suo Paese, avrebbe rischiato la pena di morte. Finita nella Questura di Bologna a seguito di un altro tentativo di violenza, pur in pendenza della richiesta di asilo promossa dal suo difensore, è stata rapidamente espulsa e riaccompagnata in Nigeria dove è stata arrestata ed è in attesa della pena di morte per impiccagione.
Perché non hanno funzionato le regole fondamentali dello Stato italiano? E quante altre volte non funzionano?
Probabilmente vi è un deficit nella cultura giuridica di coloro che si occupano di immigrazione che fa ritenere l'orizzonte normativo limitato alla legge Bossi – Fini ed in particolare alle sue regole sull'espulsione. Si finisce, così, col trascurare la gerarchia delle fonti del diritto che pone la Costituzione al di sopra di tutte le altre leggi che, in tanto possono essere applicate, in quanto siano costituzionalmente orientate.
Se, dunque, l'ordinamento italiano deve conformarsi ai trattati internazionali e tra questi è previsto il divieto di espellere uno straniero verso un Paese in cui rischia la pena di morte, le regole sull'espulsione della legge Bossi – Fini non possono essere applicate. Tanto meno in pendenza di una richiesta di asilo ed almeno fino a quando il procedimento per ottenerlo si sia concluso.
Al medesimo risultato, in ogni caso, arriva la logica anche senza voler scomodare il diritto.
Tra l'espulsione verso un Paese in cui lo straniero rischia la pena di morte e l'attesa dell'esito del procedimento per la concessione dell'asilo, non può esservi libertà di scelta da parte del funzionario della Questura: l'espulsione ha, infatti, un carattere di definitività tale da vanificare il procedimento relativo all'asilo destinato, magari, a concludersi positivamente, laddove non è vero il contrario.
La sovversione razionale, prima ancora che in diritto, dei due procedimenti che si sono sovrapposti, ha condotto l'Italia al coinvolgimento nel tragico destino di Faith Aiworo, sopratutto qualora la sua esecuzione dovesse avvenire. E' questo è un risultato inaccettabile al quale le Autorità hanno il dovere di sottrarre la collettività italiana alla quale è già stato universalmente ascritto il merito di aver conseguito la moratoria della pena di morte nella celebre Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 2007 tenutasi sotto la spinta impressa all’Italia dall'Associazione radicale Nessuno Tocchi Caino.
*segretaria e portavoce dell'associazione Migrare
Articolo tratto da www.migrare.eu