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Fayth Ayworo. Non rimane che attendere
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di Bruna Iacopino

Fayth Ayworo. Non rimane che attendere

Nonostante mail, telefonate e appelli fatti circolare attraverso il web, rimane oscura la sorte di Faith Ayworo, attualmente in Nigeria. Attendono risposta le interrogazioni parlamentari depositate da Radicali e IdV nei giorni scorsi, ma si sa, i tempi della politica, soprattutto in periodi così concitati e pre-ferie, rischiano di essere molto lunghi. Non demorde l’On. Bernardini, firmataria di una delle interrogazioni, che si dice disposta già da domani a sollevare la questione durante la seduta prevista. Il silenzio ha però la meglio, e in questo caso non si comprende se sia foriero di buone o cattive notizie. L’ennesimo “no-comment” arriva anche oggi da parte di Amnesty, che conferma l’impegno e l’attenzione per la vicenda, ma non rilascia dichiarazioni. Non rimane dunque che l’attesa e un appello rinnovato a non far cadere il tutto nel dimenticatoio della quotidianità estiva.


E'stata depositata alla Camera una dettagliata interrogazione a risposta scritta firmata dagli On. Leoluca Orlando e Fabio Evangelisti, dell'IdV in merito al drammatico caso di Faith Ayworo, la ragazza nigeriana espulsa dall'Italia e che rischia la condanna a morte in Nigeria, come sostenuto dal legale che l'assiste, Alessandro Vitale. A questa si affianca l'interrogazione firmata dai Radicali sul medesimo caso. Il timore però, è che, in vista della pausa estiva, non ci sia più il tempo necessario per intervenire sulla vicenda e fare in modo che ne venga garantita l'incolumità.
Grazie al tam tam avviato in rete e agli appelli rilanciati su siti e blog, la vicenda ha scatenato molteplici reazioni ( dai comunicati di politici anche PdL, ad articoli sulla stampa estera) e per il 2 agosto, giornata in cui Bologna ricorda le vittime della strage avvenuta 30 anni fa', il gruppo di noinonsiamocomplici, ha deciso di tenere un presidio davanti alla questura, non solo per ricordare, ai media e alla società civile, la vicenda di Faith Ayworo, ma per sollevare l'attenzione sulle tante altre "Faith" ignorate come Ngom, donna senegalese, si legge sul blog noinonsiamocomplici, scappata da un marito violento e in attesa che il giudice di pace si pronunci sulla sua espulsione. 
C'è da aggiungere che la vicenda di Faith Ayworo, pur non avendo avuto grande eco mediatica, è però sotto la lente di Amnesty international, che, al momento non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Rimanendo sul tema, è bene infine non dimenticare la "brutalità" di quei non luoghi che sono i CIE. A ricordarlo un'altra interrogazione, quella che i due parlamentari IdV dedicano al Cie di Ponte Galeria, e che fa seguito alla visita effettuata in prima persona in data 11 luglio 2010. Difatti, il Cie di Ponte Galeria era balzato agli onori della cronaca, soprattutto negli ultimi mesi, per le proteste, i danneggiamenti, gli scioperi della fame, le denunce trapelate anche a mezzo stampa, da parte dei reclusi: "...Perché qui ci trattano come bestie. Siamo 300 persone in 20 stanze da 8. Ci fanno dormire per terra come i cani". Dimensione esplosiva quella dei Cie, come conferma del resto l'ennesima rivolta, quella scoppiata proprio questa notte presso il CIE di Bari, costata il ferimento di 6 cittadini extracomunitari, 11 tra militari e carabinieri, e l'arresto di 18 reclusi che dovranno rispondere di reati di devastazione, saccheggio seguito da incendio, resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale.

IL TESTO DELL'INTERROGAZIONE SU FAITH AYWORO

Allegato B

Seduta n. 361 del 29/7/2010
...
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta scritta:


LEOLUCA ORLANDO e EVANGELISTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:

Faith Aiworo è una ragazza nigeriana di 23 anni arrivata in Italia nel 2007. Dalla Nigeria, suo Paese di origine, a quanto si apprende dal suo avvocato, è stata costretta a scappare perché accusata di omicidio, in quanto avrebbe provocato la morte dell'uomo che aveva tentato di violentarla, probabilmente un ex datore di lavoro. Arrestata in Nigeria e uscita di prigione dietro cauzione lascia, quindi, il paese;
giunta «irregolare» in Italia, per due anni non ha trovato modo di ottenere un permesso di soggiorno, ma neppure sarebbe stata informata del diritto a conseguire l'asilo proprio perché, nel suo Paese, avrebbe rischiato la pena di morte;
nel corso di questi anni le vengono notificati ben due decreti di espulsione, ma lei continua a rimanere nel capoluogo emiliano dove riesce anche a costruirsi
una vita. Ha un compagno, e nel 2009 aveva anche trovato un lavoro regolare che le aveva consentito di fare richiesta di permesso di soggiorno. Un permesso mai arrivato;
qualche settimana fa un suo connazionale tenta di usarle violenza mentre sta in casa. I vicini allarmati dalle urla chiamano i carabinieri, che arrivati sul posto, dopo aver constatato che il tentativo di violenza c'era stato, non solo arrestano lui, ma portano via anche lei a causa di quei due decreti di espulsione non ottemperati. Faith finisce nel Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Bologna dove il decreto di espulsione diventa effettivo;
il 20 luglio 2010 viene prelevata dal Cie e rimpatriata; questo nonostante la richiesta d'asilo presentata dallo stesso avvocato e la domanda di sospensiva presentata al giudice di pace per motivi di giustizia;
ciò che stupisce e amareggia è la velocità con cui è stato eseguito il rimpatrio, avvenuto ancor prima della decisione da parte del giudice sulla sospensiva;
la polizia, inoltre, sostiene che dalla banca dati Interpol non risultava nessun provvedimento di cattura nei confronti della ragazza e che quest'ultima, «serena e tranquilla» durante la permanenza al Cie non avrebbe «mai manifestato in alcun modo l'intenzione di chiedere la protezione internazionale», né avrebbe raccontato a nessuno la vicenda dell'uccisione avvenuta nel tentativo di stupro, mentre per l'avvocato di Faith: «Il punto è che non spetta a loro questa valutazione, lo deve fare una commissione ad hoc» e che «Faith non parla minimamente l'italiano, tanto che per l'udienza di convalida al Cie c'è stato bisogno dell'interprete»;
il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha scritto all'ambasciatore italiano in Nigeria, e i sindacati Cgil, Cisl, e Uil di Bologna, in un comunicato unitario, denunciano che «La Costituzione Italiana è contro la pena di morte perché questa rappresenta la violazione più brutale del più basilare dei diritti umani. Ed è per questa ragione che Cgil Cisl e Uil - ancora increduli della rapidità con cui si è deciso e provveduto alla espulsione - condannano l'accaduto, denunciano una legge che non ha mai permesso a Faith di poter richiedere un regolare permesso di soggiorno, e chiedono al Governo e alle Istituzioni tutte di attivarsi nei tempi utili per salvare la vita a Faith»;
l'articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea testualmente recita: «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»;
questa Carta (2000/C - 364/01) proclamata solennemente a Nizza il 7 dicembre 2000, vincola irrevocabilmente lo Stato italiano, al pari degli altri Stati membri dell'Unione europea, al suo rispetto, tanto più che la Costituzione, all'articolo 2, impone alla Repubblica l'osservanza dei diritti inviolabili dell'uomo (tra cui quello alla vita) ed il successivo articolo 10 impegna l'ordinamento a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute;
l'ordinamento italiano deve conformarsi ai principi e agli obblighi derivanti dai trattati internazionali e tra questi è previsto il divieto di espellere uno straniero verso un Paese in cui rischia la pena di morte;
la ragazza africana è ora detenuta a Lagos ed è in attesa della pena di morte per impiccagione - che potrebbe accadere più velocemente di quanto si speri non accada , in un Paese la Nigeria, dove la Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne non trova applicazione, e almeno 58 persone sono state giustiziate negli ultimi 12 mesi; Faith potrebbe essere uccisa da un momento all'altro -:

quali siano state le ragioni di un allontanamento di Faith Aiworo dal territorio nazionale, ad avviso degli interroganti, così disumano, irragionevole e contrario al buon senso, prima ancora che non conforme alla normativa vigente;

quali urgenti iniziative intendano assumere nei confronti del Governo nigeriano per salvare la vita di Faith Aiworo, rimpatriata inumanamente e in modo che desta dubbi sul piano della legittimità;

quali urgenti misure organizzative delle pratiche amministrative di espulsione intendano assumere, allo scopo di assicurare che, nel rispetto delle disposizioni di legge che disciplinano la materia, simili tragici errori non abbiano a ripetersi, ciò anzitutto per proteggere la vita delle persone che chiedono asilo nel nostro Paese, ma anche al fine di tutelare l'immagine ed il buon nome dell'Italia nella comunità internazionale e nei confronti delle organizzazioni internazionali, le cui norme e decisioni vengono in tal modo platealmente disattese.

(4-08258)

IL TESTO DELL'INTERROGAZIONE SU CIE PONTE GALERIA

Allegato B

Seduta n. 361 del 29/7/2010
...
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:

LEOLUCA ORLANDO e EVANGELISTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:

gli interrogati si sono recati, l'11 luglio 2010, in visita presso il Centro di identificazione e espulsione (Cie) di Ponte Galeria che ospita oggi 90 uomini e 93 donne, più o meno la metà della capienza massima del Centro. Circa 42 euro al
giorno è il costo per ogni immigrato pari a un costo annuo di circa 3 milioni di euro, senza calcolare quello principale dovuto all'impiego delle forze dell'ordine quotidianamente impiegate;
da una prima ricognizione effettuata durante la visita al Cie, agli interroganti è apparso chiaro quanto già denunciato in varie cronache giornalistiche, cioè di essere in presenza di un luogo di detenzione dove transitano gli immigrati che finiscono dietro mura, come argini di cemento, all'interno delle quali scompaiono alla vista e in un certo senso anche alla vita, un posto che appare solo come una grande simulazione di sicurezza;
la parte antistante è riservata alle forze dell'ordine, mentre la gestione interna del centro è affidata a una cooperativa privata (la Auxilium, che cura l'appalto per la gestione delle mense, dell'infermeria, dell'assistenza psicologica, una volta di competenza della Croce Rossa); all'ingresso tutto è sembrato in perfetto ordine. Le stanze per gli incontri con i magistrati e avvocati sono linde, ripulite e apparentemente verniciate di fresco, così come l'infermeria e il refettorio;
non va dimenticato che, invece, negli ultimi tre mesi ci sono state almeno quattro rivolte, l'ultima delle quali il 4 giugno 2010 nel corso della quale si sono verificati incendi, pestaggi e arresti con più di 200.000 euro di danni e una delle prime dichiarazioni raccolte da agenzie stampa recitava testuale: «... per la disperazione abbiamo dato fuoco ai materassi, abbiamo sfondato i cancelli e da stamattina abbiamo smesso di mangiare e di bere. Perché qui ci trattano come bestie. Siamo 300 persone in 20 stanze da 8. Ci fanno dormire per terra come i cani»;
secondo notizie, confermate successivamente dal Garante dei detenuti che si è subito attivato, quattro persone sono riuscite a fuggire, mentre altre nove sono state riprese; si è trattato dell'ennesima dimostrazione che la situazione all'interno del Cie è ormai esplosiva e che le condizioni di vita dei migranti reclusi, disposti a tutto pur di lasciare il Centro, sono disumane; lo stesso Garante dei detenuti, Marroni, ha affermato: "La mancata ristrutturazione del Centro, l'affollamento reso ancor più grave dal gran caldo, i ritardi nell'effettuazione delle visite mediche all'esterno e i lunghi tempi di permanenza per l'identificazione degli stranieri, sono fra le cause di una situazione che già ora è difficilmente governabile e che rischia di esplodere irrimediabilmente;
come è noto, prima del recente «pacchetto sicurezza», gli immigrati potevano essere trattenuti per 60 giorni. Un periodo difficile, visto che il regime detentivo risulta essere più duro di quello di un carcere; con il pacchetto sicurezza, invece, i Cie si sono trasformati in un calvario lungo 6 mesi, un lasso di tempo inutilmente lungo, doloroso e inutile (le identificazioni o si realizzano subito ovvero non si realizzano, nonostante il sollecito alle ambasciate per una fattiva collaborazione in tal senso);
c'è anche il caso paradossale di un uomo che ha scontato 26 anni di carcere e quando è stato rilasciato, lo hanno portato al CIE per l'identificazione, mentre è alquanto ovvio che quelli che escono dal carcere devono essere identificati (una procedura che non risulta adottata uniformemente mentre con i mezzi moderni potrebbe richiedere qualche settimana, un mese al massimo); tra l'altro, risulta agli interroganti che all'atto dell'uscita dal carcere ai detenuti non vengono rilasciate le proprie cartelle cliniche né effettuato il pagamento immediato delle somme, pur modeste ma rilevanti, loro spettanti per lavori effettuati durante lo stato di detenzione -:
quali urgenti provvedimenti si intendano adottare per evitare che esplodano altre drammatiche rivolte e soprattutto per cercare di rendere la situazione più vivibile;

se non si ritenga indispensabile prevedere che questa struttura sia soppressa definitivamente;

se non si ritenga di poter autorizzare l'ingresso nel Cie, come accade in qualsiasi carcere, anche a soggetti esterni alla struttura;

quali provvedimenti si intendano adottare per assicurare che ai detenuti che transitano nelle strutture dei Cie siano consegnate le cartelle cliniche che li riguardano e garantito il pagamento delle somme spettanti per il lavoro prestato in carcere;
in che modo si ritenga di favorire che venga fatta, una volta per tutte, immediatamente chiarezza sulle condizioni di vita dei reclusi, anche alla luce delle numerose denunce, anche molto gravi, presentate;

se non ritengano di attivarsi presso le ambasciate e i consolati al fine di ottenere nel più breve tempo possibile tutta la documentazione occorrente per l'identificazione dei reclusi, così da evitare pesanti prolungamenti dei tempi di trattenimento nei Cie.

(4-08259)

 

 


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