di Santo Della Volpe
Il numero degli incidenti mortali sul lavoro è calato nel 2009, toccando il minimo storico degli ultimi anni. Una bella notizia, anche se il numero complessivo continua a superare “quota mille”. Ma i numeri vanno letti attentamente e confrontando le percentuali degli infortuni sul lavoro (mortali e invalidanti) con il calo delle ore effettivamente lavorate,con i dati della cassa integrazione e degli indici della produzione industriale, c’è ancora poco da rallegrarsi.
Secondo il bilancio annuale presentato dall'Inail, nel 2009 sono stati 1.050 i decessi, in flessione del 6,3% sul 2008 (quando erano stati 1.120). Nel complesso diminuiscono gli infortuni in generale, scesi a 790.000 (oltre 85 mila in meno dagli 875.144 del 2008) con un calo annuo del 9,7%, che segna la flessione più alta dal 1993. Ma, ammette l’Inail,sulla riduzione dei casi registrati e denunciati all'Istituto incide anche la crisi del 2009, con il calo degli occupati (-1,6% per l'Istat) e delle ore effettivamente lavorate, dai tagli di straordinario al ricorso alla cassa integrazione.
Secondo alcune elaborazioni, afferma l'Inail, si stima che la quantità di lavoro e quindi di esposizione al rischio di infortuni abbia subito nell'anno una contrazione media del 3%. Una percentuale che porterebbe la riduzione reale al 7% per gli infortuni in generale e al 3,4% per quelli mortali. «L'effetto della crisi in termini di riduzione degli infortuni sul lavoro di sicuro c'è stato, ma ha riguardato solo una componente minoritaria del fenomeno», valuta il presidente dell'Inail, Marco Fabio Sartori. «Le riduzioni più significative in termini numerici sono, invece, da attribuire - evidenzia - all'effettivo miglioramento dei livelli di sicurezza in atto ormai da molti anni nel Paese e vanno interpretate, pertanto, come il risultato delle politiche messe in atto da governi, parti sociali, aziende e sindacati, e da tutti i soggetti che agiscono in materia di prevenzione, a partire dall'Inail». Il numero uno dell'Inail sottolinea quindi che si tratta «di un dato in linea con un trend storico consolidato: se analizziamo, infatti, l'andamento infortunistico dal 2002 al 2009 vediamo come gli incidenti complessivi siano diminuiti del 20,4% e i casi mortali del 29%».
Tutto vero, ma la lettura appare un po’ parziale: il dato infatti del 3% per indicare la contrazione media del “tempo di lavoro e quindi di esposizione al rischio”, è a sua volta una media statistica che ricorda quella del “pollo e mezzo” a testa per abitante del famoso esempio statistico degli economisti del novecento. Se infatti è vero che la contrazione dell’occupazione è stata dell’1,6% nel 2009 rispetto al 2008 (con un aumento della disoccupazione al 7,8% nel 2009), è vero che questo dato riguarda mediamente chi non lavora e non entra nel mondo del lavoro,in minima parte chi è licenziato,ma non chi è allontanato momentaneamente dal lavoro. Ed allora va preso in considerazione il dato della Cassa Integrazione che negli anni tra l’inizio della crisi nel 2008 sino alla fine del 2009 è salita del 600% (dati OCSE), quasi del 400% nel solo anno 2009. Il dato complessivo (disoccupazione e licenziamenti, cassa integrazione ed altri ammortizzatori sociali, calo del monte ore lavorate) ha portato ad una diminuzione della produzione industriale del 20% su base annua ed ad una riduzione del Pil (prodotto interno lordo) del 5,3% nel 2009 (dato ISAE).
La diminuzione degli infortuni è quindi percentualmente inferiore alla diminuzione del lavoro in Italia, inteso in senso complessivo . Il conto del tempo di esposizione al rischio è poi poco razionale: come è stato calcolato e che rapporto c’è tra “tempo di lavoro e tempo di esposizione”? Vengono calcolate anche le pause nel lavoro o gli intermezzi tra un’ora lavorata ed un’ora non lavorata? Come si concilia il calcolo del tempo di esposizione al rischio, con il fatto che mediamente le giornate lavorate nel 2009 sono scese a 20 al mese? I dati non forniscono risposte a queste domande, tanto meno le ha fornite il ministero del Lavoro e Welfare.
Soprattutto nel caso dei morti sul lavoro,il dato di 70 decessi in meno nel 2009 rispetto al 2008 è francamente minore rispetto alle aspettative ed alle attese, visto il calo del monte ore lavorate. L’Inail poi ammette che “c’è una forte variabilità a livello territoriale,settoriale e di dimensione aziendale” nella distribuzione statistica degli infortuni.
A livello settoriale la diminuzione degli infortuni sul lavoro è stata molto più sostenuta nell'Industria (-18,8%) che nei Servizi (-3,4%) o nell'Agricoltura (-1,4%). Questo fa capire che là dove si annida il lavoro più precario (ed il lavoro nero),cioè l’agricoltura,il rischio infortuni sul lavoro è sempre molto alto e la riduzione degli incidenti minima. Infatti per i casi mortali ,il 2009 segna una riduzione sensibile nell'Industria (-7,9%) e nei Servizi (-6%), mentre in Agricoltura si registra una sostanziale stabilità. Proprio là dove il lavoro nero e precario è più forte e dove, per altro, se la denuncia dei morti sul lavoro è difficile da nascondere (anche se ci si tenta sempre….), molto più alta è la percentuale di infortuni, anche gravi, non denunciati e quindi non registrati come tali.
Il calo più significativo di infortuni si registra nel comparto manifatturiero (-24,1%) e nelle Costruzioni (-16,2%), mentre per quanto riguarda i Servizi, apprezzabili riduzioni si registrano nei Trasporti (-12,5%) e nel Commercio (-9,1%). Questo vuol dire che là dove la riduzione delle ore lavorate è stata maggiore, si sono registrate le diminuzioni più forti di infortuni, anche mortali, legando ancora di più il dato delle diminuzioni alla riduzione del lavoro nel nostro paese a causa della crisi.
Gli incidenti colpiscono poi in modo molto più accentuato gli uomini (-12,6%) rispetto alle donne (-2,5%). Diversa, invece, la situazione relativa ai casi mortali, con una riduzione del 14% per la componente femminile (74 lavoratrici decedute rispetto alle 86 del 2008), a fronte del 5,6% relativo agli uomini (dai 1.034 morti del 2008 ai 976 del 2009). Va detto che per le donne il 60% delle morti si è verificato in itinere, ma va osservato che se le donne si infortunano di meno ,questo accade proprio perché sono le prime ad essere espulse dal mondo del lavoro in momenti di crisi.
Per quanto riguarda i dati territoriali, tutte le regioni hanno registrato un calo degli infortuni (con i picchi della Veneto con un calo del 14,2%), ma in 10 regioni il numero dei casi mortali è aumentato. Sono cioè diminuiti gli infortuni sul lavoro là dove maggiore è stato l’impatto della crisi , del calo delle ore lavorate e dell’aumento abnorme della cassa integrazione,cioè il nord Est ed il Nord Ovest dell’Italia. Mentre nel resto del paese gli infortuni sono aumentati, soprattutto nel Lazio e nel Sud Italia, per la preoccupante tendenza a diminuire le protezioni antinfortunistiche per abbassare i costi di produzione, soprattutto in quei settori come le costruzioni ed i trasporti nei quali il valore del tempo lavorato e della prestazione “umana” è determinante.
Nel 2009 ,poi,per la prima volta sono in flessione gli infortuni tra i lavoratori stranieri: dai 143.641 casi del 2008 si è passati ai 119.193 dello scorso anno, con un calo del 17%. Diminuiscono anche i casi mortali, scesi a 150 dai 189 dell'anno precedente (-20,6%). «Il calo è da attribuire, in parte, alla riduzione complessiva delle opportunità di lavoro che ha interessato tutta la popolazione del Paese e, dunque, anche gli stranieri, colpiti, peraltro, da livelli di precarietà superiori agli italiani - afferma Sartori – ma anche al miglioramento delle loro condizioni per quanto riguarda prevenzione e sicurezza».
Il 2009, però, ha anche un altro record: le denunce per le malattie professionali sono state 34.646, il valore più alto degli ultimi 15 anni, con un aumento del 15,7% rispetto ai 30mila casi del 2008 e di circa il 30% in 5 anni (8mila denunce in più rispetto alle quasi 27mila del 2005). L'agricoltura è il comparto più interessato: le segnalazioni sono più che raddoppiate in un solo anno (da 1.834 del 2008 a 3.914 del 2009, +113,4%) e triplicate nell'ultimo quinquennio.
C’è dunque ancora molto da fare in questo campo degli infortuni sul lavoro: 1050 morti all’anno sono ancora troppi, per la coscienza civile di un paese ma anche per l’economia dell’Italia:ridurre ,ad esempio, anche solo dell'1% gli infortuni sul lavoro, farebbe risparmiare all'Erario 438 milioni di euro. Che salirebbero a quasi 2,2 miliardi, se il calo fosse del 5% e, addirittura, a 4,3 miliardi, se la sforbiciata degli incidenti fosse del 10 per cento. La stima è dell'Eurispes, che, in collaborazione con il Consiglio nazionale degli ingegneri, ha presentato una ricerca titolata "Prevenzione e sicurezza: tra crescita economica e qualità della vita". Il calcolo è stato fatto prendendo a riferimento il numero di incidenti sul lavoro 2008, pari a 874.940 (37 per ogni mille occupati), che hanno avuto costi sociali ed economici di circa 43,8 miliardi, pari al 2,79% del Pil nazionale del 2008. Praticamente, 50mila euro a infortunio, ha sottolineato il presidente dell'Ordine degli ingegneri Giovanni Rolando, «che si potrebbero risparmiare investendo seriamente in prevenzione».