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Unicredit e il “risiko” bancario. Dalla cacciata di Profumo ai colpi di coda del regime
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di Gianni Rossi

Unicredit e il “risiko” bancario. Dalla cacciata di Profumo ai colpi di coda del regime
La democrazia italiana è a rischio per l’involuzione del suo sistema politico rappresentativo, Parlamento e governo, oltre che per il deteriorarsi del sistema economico-finanziario. Il caso Unicredit e la relativa “cacciata” del suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, sono sintomatici della crisi del regime berlusconiano e dei colpi di coda dei “poteri forti”, come l’uso dei dossier, delle intercettazioni telefoniche contro gli avversari politici e l’attività  di “disinformatia” di alcuni apparati deviati dei servizi segreti e dei reparti speciali di carabinieri, polizia e guardia di finanza
Nell’assenza assordante del centrosinistra, che sembra più impegnato a dilaniarsi al proprio interno, e nell’oblio rapido dei maggiori  mass-media, si sta consumando nel nostro paese una resa dei conti che sarebbe sbagliato ricondurre solo a manovre oscure interne al sistema finanziario bancario.
Il “caso Profumo” e il ritorno della principale banca italiana, nonché il sesto gruppo europeo, nell’alveo degli appetiti dei partiti di governo, con la Lega di Bossi in testa e il ministro dell’economia Tremonti come sacerdote officiante, disvelano le manovre di una parte della maggioranza interessata ad agire “a tenaglia” nei confronti del “lider maximo” Berlusconi, ormai in preda ad un declino isterico, attraverso l’accerchiamento ai poteri finanziari, da una parte, e il consolidamento dell’elettorato affamato di favori, dall’altra.
Chi ha i cordoni della borsa, infatti, può elargire finanziamenti a settori pubblici e privati, oggi in grande affanno: comuni, province e regioni colpite dai tagli delle ultime Finanziarie e dal “Patto di stabilità”; piccole e medie imprese che non possono più evadere del tutto né riescono ad ottenere commesse pubbliche o ad usufruire dei “montanti compensativi”, elargiti in passato con tanta benevolenza dall’Unione Europea e dalle stesse Regioni. E poi non va dimenticata la crisi economica e occupazionale. Riaprire i canali di flussi finanziari, in prospettiva delle elezioni anticipate, significa attirarci voti anche se l’immagine della Lega e del PDL è offuscata dagli scandali del premier, dalla perdita della componente “finiana”, e dalla crescente disaffezione del proprio elettorato.
Che sia,inoltre, una resa dei conti interna anche alla stessa maggioranza, non ci sono dubbi. Così come Fini, da una parte, assesta un colpo durissimo alla credibilità di Berlusconi e alla durata della legislatura; dall’altra parte, Bossi e Tremonti si organizzano un nuovo scenario, scontando la fuoriuscita di Berlusconi, puntando a rafforzare la loro leadership nordica e a ridisegnare nuovi scenari di alleanze future. Berlusconi col salvacondotto giudiziario relegato ai suoi affari, magari da un esilio dorato, per tutelare la sua progenie familiare, e Tremonti a capo del governo come esecutivo di transizione per fare riforme costituzionali. Tremonti, quindi, arbitro degli equilibri finanziari e “garante”per le istituzioni europee ed internazionali.
Basta tornare indietro di pochi mesi, da quando con le sue esternazioni “alla Robin Hood”, il superministro dell’economia lancia proposte pseudo rivoluzionarie, in parte vagheggiate anche da altri leader mondiali, ma tutte senza costrutto né fondamenta legislative. Il suo ruolo di “commercialista e fiscalista” principe all’opera per il Patriarca di Arcore, gli andava troppo stretto. Ed ecco allora, che grazie al suo ruolo nazionale ed internazionale e ai suoi legami sapientemente cuciti tramite la presidenza dell’Aspen Institute, Tremonti si lancia nel “grande gioco”:  non più solo estensore di leggi ad personam per il Capo e creatore dei più esecrandi scudi fiscali dal 1994 al 2010, ma tessitore di nuovi equilibri politici, partendo dall’asse preferenziale con Bossi.
Tra l’altro, non va dimenticato che da ministro dell’economia, del tesoro e del bilancio, Tremonti è anche il guardiano delle attività di tutti gli istituti di credito, della potente e ricchissima Cassa Depositi e Prestiti (la vera cassaforte pubblica per finanziare qualsiasi operazione economica pubblica o parapubblica), nonché responsabile primo delle attività della Guardia di Finanza e della Agenzia per le Entrate. Dopo Berlusconi, è il politico più potente in Italia!
Quando a luglio si avvertono distintamente  i sintomi della crescente frizione tra Profumo e alcuni  soci importanti delle Fondazioni bancarie, Tremonti “brilla” per l’assenza sia come controllore delle attività bancarie (attraverso il Comitato per il Credito e il Risparmio) sia come responsabile politico della situazione economica e finanziaria. Nel frattempo i libici aumentano la loro quota in Unicredit, grazie anche ai “buoni uffici” di Berlusconi, che non si avvede della trappola sotto i suoi piedini, evidentemente insensibili per i “rialzi” astronomici delle speciali calzature.
All’assenza “politica” di Tremonti, mentre sale la polemica leghista e delle Fondazioni, in mano ad ex esponenti democristiani e socialisti, fa eco la negligente noncuranza degli ogani di sorveglianza di Bankitalia e della Consob: la prima “sterilizzata” dal nuovo corso del governatore Mario Draghi, sensibile ai richiami della “sirena berlusconiana”, come farebbe presupporre la cena estiva in casa di Vespa; l’altra resa acefala da mesi, dopo la partenza del presidente Lamberto Cardia dirottato verso le più sicure stazioni delle Ferrovie di Stato.
Ecco allora, consumarsi il “delitto perfetto”: Profumo viene accusato di continuare nella sua “arroganza” di potere accentratore, di non informare i soci principali e nascondere anche al presidente, il tedesco Dieter Rampl, le mosse dei libici, e, soprattutto, di mandare avanti un progetto di “sportello unico” e internazionalizzazione che rischia di togliere il residuo potere discrezionale alle Fondazioni, vere roccaforti degli appetiti politico-affaristico nel Nord padano fino a tutta l’Emilia Romagna, nuova terra di conquista della Lega.
L’affondo porta alle dimissioni di Profumo, da sempre allergico alle “tutele” della politica e del governo, sia dai tempi in cui governava il centrosinistra con lo stesso Prodi (suo amico, del quale fu anche “testimonial” alle primarie), sia con Berlusconi e Tremonti, con il quale spesso ebbe diverbi pubblici proprio sulle scelte di politica finanziaria e sulle impostazioni di strategie economiche.
Oggi, anche Bossi e Tremonti possono così vantarsi e dire: “Abbiamo una banca”, come fecero i Fiorani, Consorte e, sembra, Fassino allora segretario dei DS, all’indomani della scalata della dell’Antonveneta  nei confronti di Banca Nazionale del Lavoro (poi però transitata, senza nessun tentativo di opposizione, nelle mani del gruppo francese BNP-Paribas, nonostante che tradizionalmente la BNL fosse identificata come la “banca del ministero del Tesoro” e della pubblica amministrazione).
Abbiamo raccolto molte preoccupazioni negli ambienti istituzionali e finanziari vicini al presidente del consiglio, che vedono questa operazione a tenaglia, come un accerchiamento per anticipare la caduta di Berlusconi e preparagli la buonuscita dal mondo politico.
Strano caso che, nel coro delle valutazioni dietrologiche, l’unico giornale dissonante nelle analisi del caso sia stato per qualche giorno “Repubblica”. In verità, da molti mesi, il gruppo editoriale che fa capo all’imprenditore Carlo De Benedetti, cerca di ridisegnare la figura del ministro Tremonti, cercandola di accreditarla come il più valido “traghettatore” dal regime berlusconiano a nuovi scenari di alleanze tra un centrodestra e un centrosinistra privo delle “ali estreme” e che renda ragionevole la Lega. Alle interviste frequenti a Tremonti e alle attenzioni sulle sue “sparate” da iperliberista e monetarista pentito, spesso però hanno fato da contraltare solo gli editoriali domenicali del vecchio fondatore del quotidiano, Eugenio Scalfari, che non risparmia frecciatine avvelenate contro il “commercialista” del premier, giudicandolo a volte benignamente un egocentrico che non riesce neppure a fare “tre conti”.
Analizzando il “caso Profumo”, l’editorialista principe di Repubblica, il vicedirettore e grande esperto di affari e finanza, Giannini, scrisse che dietro alle manovre oscure si muoveva il Duo Berlusconi-Geronzi, quest’ultimo già patron di Banca di Roma, poi Capitalia, quindi Mediobanca e, infine, Generali. Certo, Cesare Geronzi è ancora il banchiere più potente d’Italia, uomo di raccordo con gli ambienti che contano in Vaticano (note le sue frequentazioni con la Segreteria di Stato, lo IOR, già dai tempi in cui era un dirigente di Bankitalia e strinse amicizia con quello che divenne poi il governatore, Antonio Fazio, caduto in disgrazia proprio per colpa dei “furbetti del quartierino”), ma anche con la finanza laica, spesso infarcita di massoni. Repubblica, dunque, vedeva trame di origine “bancarie” e in parte politiche (la Lega essenzialmente e le Fondazioni ex-democristiane) dietro alla cacciata di Profumo, mentre assolveva Tremonti, che nel frattempo mandava in giro la favola mediatica che lui si era opposto a quel cambio senza che vi fosse un sostituto all’altezza, creando così un’instabilità di sistema per Unicredit per tutte il settore.
Niente di più falso!  Anche perché un sostituto “in pectore” per quel posto, Tremonti, stando ad indiscrezioni di ambienti finanziari a lui vicini, ci sarebbe già: si tratta del professore ed economista, Domenico Siniscalco, già suo successore al ministero dell’economia, quando si dimise in disaccordo con Berlusconi, e nell’inverno scorso già indicato dal potente leader della Fondazione CRT, Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, dai leghisti piemontesi a dallo stesso sindaco PD di Torino Chiamparino ad entrare nei vertici dell’istituto (quello stesso Palenzona punta di diamante nell’attacco a Profumo insieme al big  della Fondazione Cariverona, Paolo Biasi). Le notizie raccolte da Giannini, tramite anche Luigi Bisignani, uomo d’affari già implicato negli scandali della Loggia P2, esponente di raccordo, si dice, tra settori della finanza massonica, l’Opus Dei, il Vaticano e lo stesso Geronzi, sono poi state direttamente smentite proprio dal Geronzi a stretto giro di posta, anzi di intervista. E così, il giorno dopo l’analisi sull’affaire Profumo, Giannini intervista Geronzi, il quale puntigliosamente smantella lo scenario “berlusconiano” e fa adombrare che le “manine” dietro a questo Risiko, siano non solo quelle della Lega, ovvero di Bossi, ma anche delle Fondazioni e, senza mai nominarlo, di Tremonti. 
Geronzi amico di Profumo e nemico di Tremonti? No proprio: Geronzi, che viene dalla scuola politica  romana di Andreotti, ama soprattutto il potere e si sposta di volta in volta verso i lidi che possono dare stabilità agli assetti dei “poteri forti”, specie in vista di turbolenze, come quelle che stiamo vivendo.
Ecco così smontato il ruolo dei tedeschi nel richiedere le dimissioni di Profumo e ridimensionato quello dei libici, come “cavalieri bianchi” pronti ad “islamizzare” la più grande banca italiana.
C’ solo da aspettarsi un’evoluzione del Risiko bancario con il ruolo predominante delle Generali nei grandi assetti industriali-editoriali-finanziari: sono aperti, infatti, i casi di fibrillazione economica di Telecom, Fincantieri, Mediolanum e RCS-Corriere della Sera. Ma c’è anche l’altro bastione bancario da conquistare e che fa sempre gola al Duo di Piadena, Bossi-Tremonti, quella Banca Intesa-San Paolo, gestita con mani accorte da Giovanni Bazoli e Corrado Passera, entrambi di idee “progressiste”, ritenuti troppo sensibili alle idee del Professor Prodi, ma soprattutto esempio di cogestione tra la finanza cattolica di origini “sociali” e di quella laica non massonica. Un boccone, quindi, molto prelibato per gli appetiti del nuovo asse politico nordista.
Restano nell’ombra, ma non in secondo piano, la nuova “governance” di Mediobanca, il salotto buono della finanza italiana, là dove si pensano alle strategie per risanare o rinsaldare gruppi industriali e non solo, dove siedono gli amici più stretti di Berlusconi, oltre a suo figlia Marina; e,quindi, il riassetto dell’impero economico-finanziario-mediatico del Patriarca di Arcore, in vista della sua buonuscita e del salvacondotto giudiziario.
E le forze di opposizione cosa fanno? Superato il primo momento di smarrimento e riprovazione per la cacciata di Profumo, i partiti di centrosinistra si sono riavvolti dentro il loro ombelico, dediti alle guerriglie oratorie sulle leadership, senza analizzare che stiamo attraversando una fase dura e pericolosa della vita del nostro sistema democratico.
Certo, esistono le emergenze della giustizia, dei ricatti a suon di dossier, la crisi economica, l’occupazione mediatica e il conflitto di interessi di Berlusconi, ma non tenere viva anche questa emergenza, non mettere sul piatto della discussione politica anche questo aspetto “sensibile” è come chiudersi gli occhi sull’orlo del precipizio, per non mettersi paura, rischiando però di perdere l’equilibrio e cadere nel burrone.

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