Articolo 21 - INTERNI
19 luglio 1992. Strage di via D'Amelio. La strada per la giustizia è ancora lunga
di Gaetano Alessi
Notte d’estate, di quelle che ti tolgono il fiato. Caldo, dentro e fuori le mura di un locale che malamente riesce a contenere il via vai di gente che si ammassa come formiche nella piccola porticina d’ingresso ricavata da un arco ottocentesco.
Luglio. Una voce gracchiante esce da una piccola radiolina, quelle verdi che in questo inizio di anni novanta servono ancora per ascoltare le partite alla radio. “Tragedia a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e la scorta uccisi in via D’Amelio”. Ne avevano ammazzato un altro pochi mesi prima. Un lampo e una lama di autostrada era sbalzata via trascinando nel suo incedere vite, speranza, sogni.
Beddru me c’è scuru!
Una fitta allo stomaco e ti lasci cadere dentro uno scatolone che malamente riesce a sopportare il tuo peso.
Le luminarie seminate ovunque, è la festa del paese, stonano con il buio fitto che senti dentro, hai 16 anni e la terra in cui sei nato ti ha già insegnato più cose sulla morte che sulla vita.
Resti lì un numero interminabile di minuti, che si affastellano l'uno sopra l’altro.
Cerchi d’alzarti, ma ti manca il fiato. L’avevi visto quel giudice alcuni giorni prima. Stringeva la bocca per non piangere, parlava dell’amico Giovanni e a stento tratteneva l’emozione. Tanta gente attorno lui, tanti ragazzi.
Sembrava fosse sbocciata la primavera, ma prima è toccato l’inverno.
Beddru me c’è scuru!
“Il fresco profumo di libertà”. Ma cosa voleva dire? Ci avevano sempre insegnato che la mafia era parte di noi, che ci proteggeva, che dava lavoro, che garantiva la tranquillità. Perché essere “liberi" quando si poteva tranquillamente essere “sicuri”.
Ma quella sera, la voce gracchiante della radiolina, il fruscio della festa, quei vestiti così sgargianti da rendere tutto ovattato, quei sorrisi falsi, inetti, sporchi.
Quella sensazione che era tutto sbagliato, che era sempre stato tutto sbagliato, che bisognava cambiare, che bisognava imparare ad essere liberi… il fresco profumo….
Beddru me c’è scuru!
Ti rialzi, sono passate poche ore ma ti sembra di essere invecchiato di secoli. T’accorgi che ogni secondo in cui non hai lottato, l'hai regalato alla mafia, e t’accorgi che se avessi lottato quella voce gracchiante alla radio parlerebbe di vivi e non di morti.
Sono passati 19 anni da quel giorno. Lunghi, infiniti. Quattro lustri passati a combattere insieme a tanti, a rendere ogni angolo un campo di battaglia contro il potere ed i potenti, ad onorare e non commemorare Borsellino e la sua scorta. Ti è sembrato che il tuo lavoro fosse inutile e spesso hai pensato di mollare, ma poi in silenzio “il fresco profumo di libertà" ti ha riportato per strada.
E’ cambiato tutto d’allora, alla radiolina si è sostituito l’mp3, i boss sono quasi tutti in carcere o morti, l’antimafia ora esiste, e ogni tanto vince, ma la strada sembra sempre troppo lunga, la contiguità tra cosa nostra, politica, imprenditoria e massoneria è salda.
Ma “u scuru”, il buio, sembra essere finito. Non c’è ancora la luce, ma tanto basta per continuare testardamente a cercare l’alba.
A Paolo Borsellino 19 anni dopo.
Luglio. Una voce gracchiante esce da una piccola radiolina, quelle verdi che in questo inizio di anni novanta servono ancora per ascoltare le partite alla radio. “Tragedia a Palermo, il giudice Paolo Borsellino e la scorta uccisi in via D’Amelio”. Ne avevano ammazzato un altro pochi mesi prima. Un lampo e una lama di autostrada era sbalzata via trascinando nel suo incedere vite, speranza, sogni.
Beddru me c’è scuru!
Una fitta allo stomaco e ti lasci cadere dentro uno scatolone che malamente riesce a sopportare il tuo peso.
Le luminarie seminate ovunque, è la festa del paese, stonano con il buio fitto che senti dentro, hai 16 anni e la terra in cui sei nato ti ha già insegnato più cose sulla morte che sulla vita.
Resti lì un numero interminabile di minuti, che si affastellano l'uno sopra l’altro.
Cerchi d’alzarti, ma ti manca il fiato. L’avevi visto quel giudice alcuni giorni prima. Stringeva la bocca per non piangere, parlava dell’amico Giovanni e a stento tratteneva l’emozione. Tanta gente attorno lui, tanti ragazzi.
Sembrava fosse sbocciata la primavera, ma prima è toccato l’inverno.
Beddru me c’è scuru!
“Il fresco profumo di libertà”. Ma cosa voleva dire? Ci avevano sempre insegnato che la mafia era parte di noi, che ci proteggeva, che dava lavoro, che garantiva la tranquillità. Perché essere “liberi" quando si poteva tranquillamente essere “sicuri”.
Ma quella sera, la voce gracchiante della radiolina, il fruscio della festa, quei vestiti così sgargianti da rendere tutto ovattato, quei sorrisi falsi, inetti, sporchi.
Quella sensazione che era tutto sbagliato, che era sempre stato tutto sbagliato, che bisognava cambiare, che bisognava imparare ad essere liberi… il fresco profumo….
Beddru me c’è scuru!
Ti rialzi, sono passate poche ore ma ti sembra di essere invecchiato di secoli. T’accorgi che ogni secondo in cui non hai lottato, l'hai regalato alla mafia, e t’accorgi che se avessi lottato quella voce gracchiante alla radio parlerebbe di vivi e non di morti.
Sono passati 19 anni da quel giorno. Lunghi, infiniti. Quattro lustri passati a combattere insieme a tanti, a rendere ogni angolo un campo di battaglia contro il potere ed i potenti, ad onorare e non commemorare Borsellino e la sua scorta. Ti è sembrato che il tuo lavoro fosse inutile e spesso hai pensato di mollare, ma poi in silenzio “il fresco profumo di libertà" ti ha riportato per strada.
E’ cambiato tutto d’allora, alla radiolina si è sostituito l’mp3, i boss sono quasi tutti in carcere o morti, l’antimafia ora esiste, e ogni tanto vince, ma la strada sembra sempre troppo lunga, la contiguità tra cosa nostra, politica, imprenditoria e massoneria è salda.
Ma “u scuru”, il buio, sembra essere finito. Non c’è ancora la luce, ma tanto basta per continuare testardamente a cercare l’alba.
A Paolo Borsellino 19 anni dopo.
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