di Domenico Gallo
Il principio supremo della laicità dello Stato (Corte Cost. Sentenza n. 203/89) trova uno dei suoi canali principali di espressione nel sistema dell'istruzione pubblica impartita dalle scuole statali che, per loro stessa natura, devono garantire l'accesso a tutti, evitare discriminazioni di ogni genere, rispettare la libertà dell'insegnamento (art. 33 Cost.), il pluralismo culturale e religioso, la libertà di coscienza di studenti ed insegnanti (art.19 Cost), e la responsabilità educativa dei loro genitori (art. 30 Cost.). Questo comporta la necessità di preservare la neutralità dello spazio pubblico della formazione che deve essere liberato dalla presenza di simboli, che, sia pure attraverso un messaggio subliminale, possano condizionare la libertà di coscienza e di autodeterminazione dei soggetti che partecipano alla comunità scolastica.
Ed è proprio questa esigenza di neutralità dello spazio pubblico scolastico che ha costituito il leitmotiv del lungo conflitto politico-giudiziario intorno all'ostensione obbligatoria del crocifisso nella scuole pubbliche, che si è concluso – almeno per ora – con una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in data 3 novembre 2009. La Corte ha statuito che l'imposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche viola la libertà di coscienza garantita dall'art. 9 della CEDU, in relazione al diritto all'istruzione come previsto dall'art. 2 del primo protocollo.
La Corte ha liquidato la questione con queste semplici considerazioni di buon senso:
“Lo Stato è tenuto alla neutralità confessionale nel contesto dell'educazione pubblica dove la presenza ai corsi è richiesta senza tener conto della religione e deve cercare di inculcare agli studenti un pensiero critico. La Corte non vede come l'esposizione nelle aule delle scuole pubbliche di un simbolo che è ragionevole associare al cattolicesimo possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la preservazione di una “società democratica” così come concepita dalla Convenzione. (.) La Corte ritiene che l'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione nell'esercizio della funzione pubblica relativamente a situazioni specifiche sottoposte al controllo governativo, in particolare nelle aule scolastiche, violi il diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le loro convinzioni ed il diritto dei bambini scolarizzati di credere o di non credere. La Corte considera che questa misura comporta la violazione di questi diritti poiché le restrizioni sono incompatibili con il dovere che spetta allo Stato di rispettare la neutralità nell'esercizio della funzione pubblica, in particolare nel campo dell'istruzione.”
L'esigenza di assicurare la neutralità dello spazio pubblico scolastico, peraltro, non è stata contestata nemmeno da quelle paradossali pronunzie dei giudici amministrativi, come quelle del Tar del Veneto e del Consiglio di Stato (13 febbraio 2006 n. 256), che in tanto hanno riconosciuto come legittima la imposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, in quanto lo hanno identificato come un simbolo “affermativo e confermativo del principio di laicità dello Stato repubblicano”.
Se lo spazio pubblico scolastico deve restare neutrale rispetto alle pretese egemoniche delle religioni, non può essere revocato in dubbio che questa neutralità deve essere conservata e garantita con ancor maggiore determinazione nei confronti delle pretese egemoniche delle fazioni politiche.
Del resto il principio supremo della laicità dello Stato, come può essere insidiato dall'integralismo religioso, così può essere insidiato dall'integralismo politico, che non è meno pericoloso del primo.
Quando poi i due integralismi si miscelano e si alimentano a vicenda come accade in Italia, dove non si sono ancora spente le invettive dei fascisti contro la Sentenza della Corte di giustizia europea sul Crocifisso, allora la situazione può diventare molto pericolosa per le sorti della pacifica convivenza civile, che può essere garantita solo dal rigoroso rispetto del principio di laicità.
Non v'è dubbio che il simbolismo di imposizione pubblica è uno strumento di potere. Tanto quanto l'ossessione per le origini, la ricerca esacerbata dell'identità, l'ostracismo verso gli stranieri ed i diversi.
A volte il delirio di potere può portare a delle vere e proprie ubriacature. Solo così si può spiegare il comportamento del Sindaco di Adro, balzato all'onore delle cronache per altre infelici vicende, che ha pensato bene di annettere alla Lega la scuola pubblica di Adro, che non a caso è intitolata al prof. Gianfranco Miglio, coraggioso teorico del ritorno ad uno Stato autoritario, marchiandola con centinaia di loghi del “sole padano”. Si tratta, indubbiamente di un episodio inedito nella storia della Repubblica. Scuole di Stato con simboli di partito non se ne erano mai viste, per il semplice fatto che nessuno aveva mai osato concepire una così inconcepibile violazione di uno spazio pubblico. La vicenda di Adro ci dimostra che ormai la realtà delle patologie della nostra vita pubblica ha superato l'immaginazione.
Molti si sono indignati per questo sfregio così eclatante alle regola della convivenza su un fronte così delicato come quello dell'educazione. Ma l'indignazione è destinata a rifluire, mentre rimane la sostanza della inconcepibile coercizione della libertà di coscienza di genitori, alunni ed insegnanti.
Di fronte ad una situazione così imprevedibile, tuttavia l'ordinamento assicura uno strumento di tutela, agile, poco costoso ed estremamente efficace. Si tratta dell'azione civile contro la discriminazione prevista dall'art. 44 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero (Decreto Legislativo 296/1998).
Questa azione, sul modello dei procedimenti cautelari, mira ad ottenere rapidamente un provvedimento di tutela da parte del giudice che può “ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole ed adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.”
Nessun dubbio può sorgere sul fatto che il simbolismo leghista, imposto alla scuola di Adro, a parte ogni altro profilo di illegittimità, comporti una discriminazione, cagionando una inammissibile compressione del diritto alla libertà di coscienza di quegli alunni e di quelle famiglie che non si sentono riscaldate dai raggi del sole padano, e considerano diseducativa la sub-cultura leghista che ripropone i principi del Ku Klux Klan in salsa padana.
Occorre inoltre precisare che la normativa contro la discriminazione, seppure inserita nella disciplina dell'immigrazione, non riguarda e non tutela soltanto gli stranieri. Infatti la legge espressamente prevede che la norma contro al discriminazione (art. 43) e la norma sull'azione civile (art. 44) “si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani”.
Qualcuno ha calcolato che la rimozione dei simboli padani dalla scuola di Adro è operazione alquanto costosa. Tuttavia non c'è da preoccuparsi per le finanze pubbliche: la Corte dei Conti certamente saprà far valere la responsabilità degli amministratori locali per il danno erariale.