di Francesca Puglisi*
“Il popolo non ha il pane”. “Che mangino brioches”. Imitando la Regina Antonietta, davanti al popolo della scuola che protesta per lo smantellamento dell’istruzione pubblica, Gelmini e Tremonti sono solo capaci di buttare la frasi vuote. “"Dobbiamo investire più che possiamo sulla scuola”, ha affermato il ministro dell’Economia. Forse intendeva investire con il bulldozer dei tagli: quegli 8 miliardi che hanno prodotto, fra l’altro, il più grande licenziamento di massa della storia dell’Italia repubblicana, e cheoggi venerdì 8 ottobre gli studenti di tutta Italia contesteranno nelle piazze del Paese, in una grande manifestazione unitaria.
Non sarà una presa della Bastiglia, ma il segnale che si è arrivati al capolinea sì. Al capolinea delle promesse non mantenute e delle minacce attuate: la promessa di dare all’Italia una scuola di qualità, la minaccia di adoperare gli strumenti di tagli non solo per esigenze –pretestuose- di bilancio, ma soprattutto per disegnare il nuovo volto della società italiana. E sono convinta che, al di là dei lunghi cahiers de doléances, la critica forte che le associazioni degli studenti portano al cuore della riforma riguardi proprio l’Italia che si va costruendo. Coventrizzando la pubblica istruzione, il centrodestra populista di Berlusconi non fa altro che dare corpo al Paese che ha in testa: diviso in classi, ricchi e poveri, settentrionali e meridionali, immigrati e italiani, professionisti dell’intelletto e bassa manovalanza.
Quando la Federazione degli Studenti lancia lo slogan “Partigiani della conoscenza, costruttori di libertà”, quando l’Unione degli Studenti apre la sua piattaforma con la citazione di Victor Hugo “Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione” o quando la Rete degli Studenti denuncia che i tagli sui saperi sono una precisa scelta politica e non una necessità, mi pare che lo facciano non solo per dare risposte a un malessere che tutto il mondo della scuola esprime con forza verso le politiche Gelmini-Tremonti, ma soprattutto perché c’è la consapevolezza che soltanto un atto forte e visibile di responsabilità, nella qualità di cittadini e cittadine della Repubblica, possa salvare quella che è la base autentica della nostra democrazia: la scuola pubblica.
Direi che quella degli studenti è una vera e propria dichiarazione di morale civile, in un Paese dove chi ci governa ci offre quotidianamente uno spettacolo di becero esercizio del potere, che presuppone l’esistenza di sudditi e non di cittadini. Ecco perché il PD condivide e sostiene le motivazioni che portano in piazza gli studenti e le studentesse, e proprio l’8 e il 9 ottobre, nell’assemblea nazionale di Varese, i Democratici discuteranno di scuola, una delle parole chiave dell’appuntamento con i mille delegati del PD. E lo faremo con una radicale critica alle politiche del governo Berlusconi, ma con la volontà di non difendere a tutti i costi lo status quo. Siamo consapevoli, infatti, che dobbiamo dare a questo Paese una prospettiva di cambiamento, e il Partito Democratico da tempo ha avviato un confronto con studenti e insegnanti, genitori, esperti, personale tecnico e amministrativo, confronto che è fiorito di recente nei molti seminari e dibattiti della Festa Scuola di Bologna e nel primo Forum Istruzione che si è svolto a Roma a fine settembre.
Già da sabato pomeriggio, le proposte programmatiche del PD sulla scuola saranno le nostre armi per affrontare una stagione dove si giocherà non il futuro di un partito, ma dell’intero Paese. Nell’assemblea nazionale discuteremo di idee e di azioni concrete, a cominciare dal fatto che non c’è qualità senza investimenti. Se vogliamo che ogni scuola possa contare su risorse economiche e umane certe, se dobbiamo contrastare la dispersione scolastica, anche riportando l’obbligo di istruzione a 16 anni; se vogliamo passare dai livelli essenziali di prestazione (Lep) ai livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze (Leac) per garantire a tutti le stesse opportunità di saperi e di competenze; se è necessario armonizzare il sistema dell’istruzione di competenza dello Stato, con quello della formazione professionale di competenza delle Regioni; se vogliamo lanciare un piano straordinario per l’edilizia scolastica in un’Italia dove due scuole su tre non sono a norma di legge; se, insomma, vogliamo dare un senso al nostro vivere civile, allora dobbiamo puntare sulla scuola, aperta tutto il giorno, tutto l’anno e per tutta la vita. Scuola come luogo fondante di comunità, dove l’accesso al sapere è la via al successo educativo di ciascun alunno, cittadino dell’Italia di domani, un’Italia migliore non perché ha più cacciabombardieri negli hangar militari, ma perché ha più voglia di conoscere, di creare, di costruire, di rispettare gli Altri, di dare valore alle capacità di tutti e di rispondere ai bisogni di ciascuno.
* Responsabile Scuola Segreteria Nazionale del Partito Democratico