di Giulia Fresca
Sono quindici i cronisti minacciati in Calabria, ma nessuna scorta ne protegge la vita, gli affetti e gli effetti personali. Continuano la loro opera quotidiana al servizio della verità e del riscatto di una terra nella quale la commistione tra ‘ndrangheta e politica si fa sempre più serrata. Alla luce della recente scoperta del bazooka utilizzato come intimidazione al procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, il Prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, ha annunciato in città l’arrivo dell’esercito con funzioni di vigilanza intorno agli uffici giudiziari. Si tratta comunque di una scelta che non tende a risolvere il problema della criminalità organizzata ma semplicemente creare un labile deterrente verso azioni plateali che potrebbero in qualche modo disturbare le azioni politico-giudiziarie che in questo periodo stanno accendendo gli animi di molti amministratori. Le inchieste che coinvolgono esponenti di rilievo delle varie comunità politiche della regione, devono portare a riflettere su cosa stia accadendo realmente in Calabria: non c’è una criminalità fatta di attentati e morti ammazzati, ma di lettere minatorie, di attacchi dinamitardi e di armi lasciate in posti strategici come già accadde con l’auto scoperta in occasione della visita del presidente Giorgio Napolitano a Reggio Calabria. È una guerra strisciante che tende a logorare il già debole sistema ed al tempo stesso stringere la cinghia attorno agli uomini che già sono “a servizio” della criminalità. Poco importa dunque se il bazooka sequestrato tre giorni fa dalla squadra mobile reggina non è quello che gli stessi investigatori hanno fatto vedere ai giornalisti l'altro ieri nella sala conferenze della questura. Non è “l’oggetto”, ma il significato che esso ha nella guerra di ‘ndrangheta. Non si tratta di una pistola con proiettili o di un fucile caricato a pallettoni, ma di un lanciamissili, il simbolo della potenza armata che può, se caricato, sparare razzi senza che vi sia possibilità di salvezza.
Questa è la ‘ndrangheta oggi, e l’esercito, che possa presidiare i palazzi, non basta. La speranza è nel Ddl Lazzati, voluto dal giudice Romano De Grazia del Centro Studi Lazzati ed approvato alla Camera dopo diciassette anni di anticamera con il quale si assesta un duro colpo all’intreccio dei rapporti tra mafia e politica. La proposta di legge unificata stabilisce il divieto di propaganda elettorale da parte dei soggetti sottoposti a misure di prevenzioni per reati mafiosi. Fino a 5 anni di carcere è la pena per coloro che svolgono propaganda elettorale, mentre per gli eletti, in qualsiasi istituzione, è prevista la decadenza dagli uffici, se hanno richiesto e beneficiato di voti mafiosi. Prevista anche l’ineleggibilità per gli esponenti politici che hanno fatto ricorso al sostegno dei voti della criminalità organizzata. Fino all’approvazione del DdL Lazzati infatti, al sorvegliato speciale, cioè a colui che, con sentenze, è stato riconosciuto socialmente pericoloso, veniva sospeso il diritto di elettorato attivo e passivo. Però, distrazione del legislatore, il sorvegliato speciale poteva raccogliere il voto degli altri. È questa l’unica vera speranza per tentare di arginare il fenomeno criminale all’interno delle istituzioni, perché non bisogna dimenticare che ci sono 72 comuni sciolti in Campania per condizionamento mafioso, 46 in Sicilia e 45 in Calabria. «La legalità non deve avere bandiere di partito – ha detto Romano De Grazia - Non c’è una legalità di destra o di sinistra. La legalità è l’elemento fondante del sopravvivere della società civile». La speranza è che dopo la Camera il DdL venga approvato al Senato senza che debbano passare, chissà, altri diciassette anni! Rimane però una macchia indelebile che riguarda il verbale della votazione n°22, della seduta n°282/2010. In quel caso il DdL ebbe 354 voti favorevoli, 35 astensioni e 7 contrari, ma sei parlamentari calabresi erano assenti alla seduta compreso uno di loro che aveva anche presentato il disegno di legge. «Altri due parlamentari erano presenti a tutte le votazioni del giorno ma non all’ultima, appunto, quella del disegno di legge Lazzati. Circa il 40% dei parlamentari calabresi non era presente per qualche motivo e non per missione, quindi non per assenza giustificata dal Parlamento». Parole di Angela Napoli, relatrice e prima firmataria del progetto di legge Lazzati. «Mi ha mortificato vedere chi tra i parlamentari calabresi, è uscito nel momento del voto per “prendersi un caffè”, o chi è rimasto in aula e non ha espresso il voto».
È tempo di ascoltare chi “vive e respira” la Calabria, chi, senza filosofie o teoremi, opera opponendo alla ndrangheta la medesima tecnica di chi scava in profondità logorandone le radici più attive. Non basta l’esercito per sconfiggerla ma è necessario che se ne parli senza sensazionalismi, aprendo una finestra quotidiana su tutti i media per focalizzare l’attenzione sui problemi di una regione al tracollo nella quale ora, più che mai, i nomi devono venire allo scoperto e, con essi, i libri paga su cui sono annotati tutti quei calabresi umiliati e mortificati da “assetati” di potere.