di Gaetano Liardo*
La tanto attesa per la sentenza di primo grado del processo Il Crimine, frutto della maxi-operazione che nell'estate del 2010 ha portato agli arresti oltre 300 persone lungo l'asse Reggio Calabria – Milano, è finalmente finita. Resta la delusione per l'esito. Il Gup ha condannato circa 90 imputati sui 127 portati a processo dalla procura dello Stretto con rito abbreviato, ma ha ridimensionato le pene richieste.
Dieci anni di carcere inflitti a Domenico Oppedisano, l'ottantenne Capo Crimine della “Provincia”, la struttura sovraordinata di coordinamento e controllo delle diverse locali 'ndranghetiste, a fronte dei vent'anni richiesti dai pm. Quattordici anni e otto mesi di carcere sono stati inflitti a Giuseppe Commisso, il “Mastro” di Siderno, nella cui lavanderia, la Alpe Adria Green, è stato ascoltato dagli inquirenti mentre impartiva ordini e governava la complessa struttura della 'ndrangheta. Dalla Calabria alla Lombardia, dalla Germania al Canada e all'Australia. La Procura aveva richiesto vent'anni. Inflitti sei anni di detenzione al boss Antonio Pesce, a fronte dei dieci richiesti; otto anni a Rocco Lamari, a fronte dei venti richiesti; otto anni a Cosimo Giuseppe Leuzzi, venti richiesti; otto anni a Giovanni Alampi, sedici quelli richiesti; sette anni a Carmelo Costa, sedici richiesti.
Il procuratore Nicola Gratteri, presente alla lettura della sentenza, definita storica nella sua requisitoria, ha dichiarato che: «L'impianto accusatorio comunque alla luce della sentenza del Gup ha tenuto». Aggiungendo che: «Bisogna ora aspettare di leggere le motivazioni per capire come il Gup sia arrivato alle determinazioni del conteggio della pena, delle condanne e delle assoluzioni».
L'amarezza, invece, corre sul web. Su twitter l'associazione DaSud e Stopndrangheta, promotori della campagna UnaeNdrina, hanno seguito in diretta la lettura del dispositivo da parte del Gup. Molti i commenti dei numerosi twitters che non celano l'amarezza per una sentenza che molti definiscono “blanda”. Delusione anche per l'assenza dei media nazionali, salvo alcune eccezioni registrate.
Quasi una sottovalutazione di un procedimento che sta alla 'ndrangheta come il maxiprocesso palermitano a Cosa nostra. La tesi della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, infatti, è quella che la 'ndrangheta, diversamente da quanto ritenuto nel passato, si sia dotata di una struttura verticistica di coordinamento, risoluzione dei problemi interni, e pianificazione delle strategie. La “Provincia”, infatti, è un organo collegiale a cui fanno parte i principali boss dell'organizzazione. Proprio nel corso dell'inchiesta i carabinieri del Ros riuscirono a filmare la riunione, svoltasi nei pressi del santuario della Madonna di Polsi, dove i capi più blasonati delle cosche dei tre mandamenti della Provincia (Jonico, Tirrenico e Centro) davano le nuove “cariche”. I ruoli di leadership per governare la 'ndrangheta. La Provincia, o Crimine, avvertono i magistrati reggini, così come i colleghi della Direzione nazionale antimafia, non deve tuttavia essere considerata l'equivalente della Cupola di Cosa nostra. Sono strutture diverse, che rispondono a forme di organizzazione criminale differenti. Domenico Oppedisano, il Capo Crimine della Provincia, infatti, non può essere considerato alla stregua del Capo dei capi siciliano. Non ha gli stessi poteri, e decide collegialmente con gli altri organi della Provincia.
Un'evoluzione storica per la 'ndrangheta, quella descritta dall'operazione il Crimine. Si attendono adesso le motivazioni per vedere se è stata riconosciuta dal Gup.
*tratto da www.liberainformazione.org