di Elisabetta Viozzi
Lo chiamano centro di accoglienza, ma assomiglia di più a una prigione. Chiuso nella zona militare dell’aeroporto, circondato da filo spinato e militari armati, il centro è sovraffollato. E le rivolte si susseguono. Questa volta, però, in molti se ne sono accorti.
Si è chiuso con un bilancio di 10 arresti e alcuni feriti la rivolta al Cpa di Elmas, dove un centinaio di immigrati ha di fatto preso il controllo dell'edificio. Ventidue di loro aveva cercato la fuga nell'aeroporto civile di Cagliari-Elmas, adiacente al Centro di Accoglienza, e sono stati tutti bloccati dalle forze dell'ordine. Un'operazione che ha richiesto oltre tre ore, durante le quali lo scalo è rimasto chiuso fino alla cattura di tutti i fuggiaschi, ma con disagi notevoli per i passeggeri. Quella di lunedì scorso è la terza rivolta in 11 giorni nella struttura, segno di un disagio crescente all'interno del centro. Forse a far la differenza stavolta sarà la risonanza che tutti i media nazionali hanno dato alla notizia, che ha portato in molti ad interrogarsi sulla gestione dei centri per immigrati.
Quando accoglienza significa sbarre e filo spinato c’è qualcosa che non va. Ma, di questi tempi, in Italia, questo sembra essere l’unico approccio possibile al fenomeno immigrazione.
Ascolta l'intervista a Roberto Loddo presidente dell’associazione 5 novembre per i diritti civili