di Pietro Nardiello
La situazione giornalistica in Campania non è delle più rosee. In terra di camorra la libertà di stampa fa rima con precarietà. I giovani che vogliono avvicinarsi a questo mondo devono affrontare numerose difficoltà che non sono solamente quelle della cosiddetta gavetta. Incontriamo Ciro Pellegrino uno degli animatori dell’associazione giornalisti precari.
Ciro Pellegrino, come mai i giornalisti precari della Campania hanno deciso di unirsi in associazione?
Diciamo che è nata dalla voglia di confrontarci e parlare. Giornalisti professionisti precari o abusivi, molti dei quali provenienti dalle scuole di giornalismo; pubblicisti “invisibili”, per i quali la retribuzione era ed è un sogno lontano anni-luce. Ci incontravamo alle conferenze stampa, alle interviste, agli eventi più disparati. Alla fine grazie alla volontà di un giovane amico e collega, Pasquale De Vita - che ironia della sorte è poi emigrato dalla Campania per lavoro - ci siamo riuniti per la prima volta. L’obiettivo è rimettere al centro della discussione sul giornalismo, nella nostra regione, la condizione di chi non ha contratti né diritti. Persone che non credono più nella lotta sindacale tradizionale e che hanno bisogno di uno sfogo e un sostegno. Un anno dopo la nascita del Coordinamento siamo in quasi centocinquanta, riuniti in associazione presieduta dal collega Luca Romano. Dimostrazione lampante del fatto che una realtà del genere era necessaria.
Qual è la situazione del giornalismo, dell’informazione in questa regione?
Dire drammatica è come usare un eufemismo. Articoli non pagati o al massimo pagati 3-5 euro da testate regionali che magari ricevono contributi Statali o vivono di pubblicità e convenzioni istituzionali. Nello scorso mese di febbraio con uno screening regionale presentato pubblicamente abbiamo tracciato il quadro campano. La quasi totalità dei precari non è iscritta al sindacato, fatica a pagare la quota annuale di 90 euro all’Ordine dei Giornalisti. L’aspetto più drammatico è rappresentato dal fatto che i giovanissimi sono quasi convinti che per fare “la gavetta” bisogna pagare e non essere pagati.
Di chi è la colpa?
Delle scuole di giornalismo che hanno fatto passare quest’idea, colpa di un Ordine che avrebbe dovuto mettere un freno al proliferare di queste realtà. Questo non dev’essere un mestiere per ricchi, ma per chi ha voglia, competenza e coraggio di raccontare i fatti.
Vi siete resi protagonisti anche di alcune azioni e denunce molto importanti, ce ne parli?
Sì, innanzitutto c’è la questione dei cosiddetti «corsi truffa». Per mesi ci siamo finti aspiranti giornalisti con svariate realtà pseudo-associative del napoletano. Abbiamo registrato queste telefonate, le abbiamo diffuse e inserite in un dossier che è stato al centro del nostro secondo incontro pubblico a maggio. Da questo dossier è nato un esposto alla Procura della Repubblica di Napoli che dovrà decidere se questi corsi sono o meno a norma. Esempio: per diventare giornalista pubblicista occorrono un tot di articoli in due anni, documentati e pagati, tant’è che nella documentazione richiesta occorre presentare delle ritenute d’acconto a testimonianza del pagamento della prestazione. Spesso sono gli stessi aspiranti pubblicisti a “pagarsi” queste ritenute d’acconto. È normale? È giusto? Secondo noi non lo è affatto. Stiamo stilando un decalogo contro certe “prese in giro”.
Oggi la nostra attenzione è focalizzata sui master postlaurea. Uno su tutti è quello dell’Università “Suor Orsola Benincasa” in Comunicazione, giornalismo multimediale ed enogastronomico” che costa 6mila euro. Possibile che passi l’idea del giornalista «magna e bevi» specializzato in soli temi enogastronomici, con qualche “infarinatura” nelle varie materie che sono alla base di questo mestiere? Abbiamo girato le nostre perplessità al presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, che ci ha promesso risposte rapide e drastiche. A tutt’oggi attendiamo, con fiducia: questo è il mestiere di Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giancarlo Siani non un corso di degustazione di miele e formaggi tipici.
Prossime mosse?
Per il prossimo anno abbiamo grosse novità in campo: una nuova sede, probabilmente una struttura confiscata alle mafie, in un quartiere “caldo” del centro storico di Napoli, altro non posso dire perché stiamo definendo ancora dei particolari. Però è un progetto cui teniamo tantissimo: grazie all’ospitalità di associazioni amiche come le Catacombe del Rione Sanità, Napoli Sotterranea e Mani Libere siamo riusciti a vederci per un anno una volta a settimana. Ora abbiamo bisogno di uno spazio nostro, una sala aperta a tutti i giornalisti italiani che ne hanno bisogno.
E poi?
Abbiamo in cantiere un paio di iniziative tra il serio e il faceto: documentare con foto e riprese video la condizione dei giovani precari napoletani. La cosa bella di questo Coordinamento è che in un anno si è creato anche un gruppo di amici: è lo spirito migliore per cercare, senza fanatismi ma con passione e fantasia, di cambiare le cose.