di Beppe Giulietti
Quello che è successo alla Fiat ci riguarda e ha a che fare direttamente i modi e le forme della democrazia sindacale e non solo. Guai a pensare che si tratti soltanto di una vicenda aziendale. Del resto la qualità e la quantità dei commenti sono indicativi della posta in gioco e dei futuri schieramenti, altro che le schermaglie tattiche e i posizionamenti preelettorali.
L’intesa fortemente voluta da Marchionne, molto amato anche da alcuni esponenti del pd, rappresenta una rottura nella storia delle relazioni sindacali in Italia. Al di là del merito si è deciso di procedere senza la firma del sindacato più rappresentativo, anzi si è deciso qualcosa in più e cioè che la Fiom da oggi sarà esclusa da ogni trattativa e semmai volesse rientrare dovrebbe chiedere scusa e sottoporsi al giudizio dei firmatari. In altre parole la controparte e i sindacati meno rappresentativi dovranno decidere sul diritto del sindacato maggioritario a esercitare il suo mestiere.
Non contenti hanno anche deciso di cancellare le rappresentanze sindacali unitarie e di sostituirle con le rappresentanze sindacali aziendali che saranno indicate direttamente dalle organizzazioni che hanno firmato il patto. In altre parole è stato tirato un colpo quasi mortale alla democrazia sindacale e ai diritti di ciascun lavoratore che, qualora volesse restare iscritto alla Fiom, si troverebbe confinato nella condizione del cittadino semilibero.
Non a caso alcuni costituzionalisti, di scuola liberale, stanno avanzando pesanti dubbi sulla costituzionalità del patto siglato.
La destra, il terzo polo, i modernizzatori e i rottamatori della democrazia, hanno esultato e si sono spontaneamente ritrovati dalla stessa parte, quella che vorrebbe una Italia senza Berlusconi, ma berlusconizzata, fondata sulle oligarchie, sul decisionismo, sulla riduzione dei diritti fondamentali, perché sarebbero intralci allo sviluppo e alla accumulazioni di ricchezza. Una sorta di repubblica del pensiero unico, dell’interesse unico e del sindacato unico, quello che rinnega l’idea stessa che esista il conflitto sociale.
Costoro, attraverso percorsi tortuosi, si ritroveranno prima o poi insieme, forse non nello stesso partito, ma sicuramente dalla stessa parte. Sarà il caso di accelerare la costruzione del polo che non c’è, quello che non intende rinunciare alla Costituzione, che sale sui tetti per difendere il diritto alla scuola pubblica, che non rinuncia al principio della legittima rappresentanza sindacale e politica, che contrasta i conflitti di interesse e il disprezzo per la legalità, che vorrebbe ridurre le diseguaglianze sociali e che non intende delegare ad un pugno di oligarchi la rappresentanza politica e sociale.
Questo polo c’è, ma ancora fatica a coordinarsi, eppure dovrà farlo, perché la vicenda della Fiat ci manda a dire che è in atto una offensiva per ridurre i diritti dentro e fuori la fabbrica e per “fermare”, rubiamo l’espressione al camerata Gasparri, tutti quelli che non vogliono alzare bandiera bianca possono persino protestare contro le tante zone rosse che segnano i confini dell’esclusione politica e sociale.
Del resto non sarà certo casuale che un uomo prudente come Sergio Cofferati abbia sentito il bisogno di dichiarare: “Si tratta di un inedito gravissimo nel panorama delle relazioni industriali perché si punta a cancellare qualsiasi forma di rappresentanza sindacale che non condivida le risoluzioni dell’azienda… Gli effetti sono evidenti a tutti.. Ci vuole una grande iniziativa per contrastare quanto è successo a Torino“.
Abbiamo un grande rispetto per l’autonomia del sindacato, ma forse è davvero giunto il momento dello sciopero generale contro il tentativo di liquidare la stagione dei diritti e delle conquiste civili e sociali, dentro e fuori le aziende.
“Abbiamo liquidato il sessantotto“, ha dichiarato una giuliva Gelmini, dopo l’approvazione di quella cosa che chiamano riforma dell’università. La stessa filosofia sembra ispirare l’accordo Fiat al quale seguiranno altre intese, altri strappi, altri assalti alla struttura stessa del nostro ordinamento democratico, in particolare al principio di uguaglianza politica e sociale.
Se e quando la Cgil dovesse decidere di indire un grande sciopero generale troverà al suo fianco non solo le gloriose tute blu, ma anche le ragazze e i ragazzi di tante scuole e università, i precari, i ricercatori, il mondo del cinema e della cultura tradito dai Bondi di turno, le popolazioni dell’Aquila beffate dai cinici che ci governano, i cassintegrati che hanno perso i soldi in busta paga, quelli che si battono per la legalità e la dignità sociale, i poliziotti sbattuti nelle strade e privati dei loro diritti, e potremmo continuare questo elenco fatto di persone e movimenti che sono oltre i vecchi confini dei partiti e degli schieramenti tradizionali.
Forse potremmo scoprire di non essere quattro gatti, anzi forse potrebbe nascere uno schieramento capace di andare davvero oltre il berlusconismo, nelle sue varianti di destra e di presunta sinistra.