di Marco Calamai
Giuseppe Giulietti ha ragione: manca in Italia un coerente polo riformista. Ovvero un progetto di cambiamento che convinca e trascini non solo il tradizionale elettorato di sinistra ma anche ceti sociali tendenzialmente moderati i quali, preoccupati per l’attuale deriva populista, sono comunque interessati a un cambiamento profondo e duraturo che saldi la solidarietà sociale con un senso dello Stato che appare smarrito e che la destra di governo attuale non è capace di far proprio.
E’ opinione di chi scrive che l’anomalia italiana, il populismo che da quasi venti anni incombe sul paese, rappresenti un fenomeno del tutto originale nonché un potenziale virus per tutta l’Europa (guardate all’Ungheria dove stanno accadendo cose gravissime per la libertà di informazione che assomigliano a quanto avviene da anni in Italia). E che questo populismo ha potuto affermarsi grazie ad una debolezza profonda della sinistra italiana, incapace di confrontarsi con la modernità come dovrebbe fare, appunto, un polo riformista.
Il problema infatti non è, o meglio non è solo, il berlusconismo, fenomeno che affonda le sue radici nella storia italiana ( fenomeno di “lunga durata” direbbe Il grande storico Braudel ) nella quale i valori della democrazia non sono mai stati davvero profondi e radicati. Spiego meglio: l’antifascismo, reazione in gran parete legata al disastro della guerra, è stato certamente un sentimento di massa ma non è stato un fenomeno compiutamente democratico. Lo dimostra l’ambiguità del PCI, partito egemone della sinistra postbellica i cui meriti sono stati comunque molto importanti, e tuttavia legato per un lungo periodo al totalitarismo sovietico.
Il che spiega, tra l’altro, la debacle della sinistra dopo il 1989: quel nome (PCI) andava cambiato prima e non dopo il crollo del muro (anche se meglio tardi che mai). L’altra faccia di questa medaglia? L’incapacità del partito socialista di diventare, mantenendo il suo radicamento sociale e la tensione morale di chi lotta per una società più giusta, forza egemone della sinistra come invece è avvenuto in altri paesi (Francia e Spagna in particolare). E’ accaduto così che socialisti e comunisti italiani, in un fallimento comune, si siano eliminati a vicenda e che in Italia, caso unico in Europa, non si sia affermata una socialdemocrazia forte e capace di garantire una periodica alternanza ai governi conservatori.
E qui arrivo alla seconda parte del ragionamento. Penso che se s’intende saldare l’esigenza della giustizia sociale - oggi più che mai avvertita di fronte alle minacce della globalizzazione così come la stanno praticando i grandi gruppi finanziari che fanno il bello e il cattivo tempo nei mercati mondiali - alla necessità di consolidare la democrazia superando la cultura populista (che fa dell’Italia un paese simile alla Argentina peronista) occorre che la sinistra:
-non si limiti alla denuncia e alla protesta ma elabori un programma di riforme che affronti in modo radicale il nodo di un mercato del lavoro (da un lato gli occupati “garantiti”, dall’altro i precari a tempo determinato) che sta creando una rottura generazionale di devastanti proporzioni.
-affronti il perverso e sempre più esteso fenomeno della gerontocrazia che domina gli ambienti accademici, giornalistici, politici, istituzionali, bancari, aziendali e via dicendo bloccando l’ascesa professionale dei giovani, spesso dei più bravi (che no pour cause se ne vanno in gran numero all’estero).
-lotti sistematicamente contro le degenerazioni claniche, familistiche e clientelari (la faccia “legale” della cultura mafiosa) che impediscono l’innovazione a tutti i livelli a vantaggio di una casta con molto potere e con scarse capacità di governo.
-faccia leva sulle nuove tecnologie, una rivoluzione che sta modificando le nostre vite e che la sinistra italiana stenta a comprendere, per arricchire e decentrare la vita democratica a tutti i livelli.
Conclusione: si è recentemente parlato di rottamazione dei vertici politici del Pd, il più forte (per ora) partito della sinistra. Un termine forse di “cattivo gusto”, come ha detto qualcuno, ma che ha comunque il pregio di mettere il dito sulla piaga. Non è certo possibile rinnovare la sinistra senza che gli attuali gruppi dirigenti - in gran parte eredi di una cultura “non compiutamente democratica” che impedisce di comprendere i problemi e le sfide del mondo attuale, compreso il berlusconismo - lascino il posto a giovani e meno giovani che non hanno vissuto l’esperienza storica del mondo bipolare e della prima repubblica e che ben poco hanno a che fare con la cultura postcomunista.
Come fare? Nessuno ha la ricetta magica. E tuttavia alcune proposte, per altro già presenti nel dibattito politico, potrebbero aiutare. Ad esempio imporre forme di rinnovamento dei partiti che facilitino davvero, ben oltre la pratica delle primarie che pure va salvaguardata e potenziata, il turn over dei dirigenti, dei parlamentari e delle altre cariche elettive, ridimensionando il loro numero e i loro stipendi, oggi ben superiori a quelli medi europei.
Inoltre: battersi per la creazione di forme sistematiche di controllo rigoroso dei concorsi statali al fine di combattere clientelismo e familismo. Diffondere l’educazione alla cittadinanza allargando la cultura democratica e la conseguente critica alla degenerazione populista e al crescente trasformismo politico, altro male storico del caso italiano. Infine e in primo luogo:fare della questione giovanile, come ha chiesto il Presidente Napolitano nel suo discorso di fine anno, un grande tema nazionale. Ovvero una priorità analoga a quella della lotta alle mafie e al nodo irrisolto del Mezzogiorno, ormai diventato una sorta di narco regione come il Messico.
Ultima considerazione: sto forse prospettando una sorta di “rivoluzione culturale” da realizzare con il protagonismo dei giovani? Certo, penso ad una sorta di nuovo Risorgimento, ad un salto storico che aiuti la sinistra ad uscire dal pantano in cui si trova e aiuti il paese a superare il degrado morale che lo sta strangolando. Che non si può realizzare senza il protagonismo delle nuove generazioni.