di Domenico d’Amati
In un commento sulla vicenda di Mirafiori, Dario di Vico ha scritto sul Corriere della Sera che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori “rende impossibili i licenziamenti individuali nelle aziende con più di 15 dipendenti”. Di questo strafalcione ci sarebbe da ridere se su affermazioni come questa non si fondasse la campagna di disinformazione diretta a smantellare lo Statuto.
Se, prima di pronunciarsi, l’autorevole commentatore avesse consultato uno studente del terzo anno di giurisprudenza, si sarebbe sentito rispondere che, se c’è una cosa fuori discussione nel nostro di diritto del lavoro, è la possibilità di licenziare, anche nelle aziende con più di 15 dipendenti, per una serie di motivi che vanno dall’inadempienza del lavoratore ai suoi doveri, alle ragioni organizzative dipendenti da esigenze discrezionalmente valutate dall’imprenditore.
La materia è disciplinata prima che dallo Statuto, dalla legge 604 del 1966 e dal codice civile. L’articolo 18 si occupa solo delle conseguenze del licenziamento illegittimo e stabilisce che il lavoratore espulso dall’azienda senza ragione deve essere reintegrato nel suo posto.
Di Vico non è solo. Sullo stesso falso presupposto dell’impossibilità del licenziamento si fonda la scuola di pensiero dell’on. Ichino, secondo cui i lavoratori si dividono in due categorie: i privilegiati inamovibili perché tutelati dall’art. 18 e tutti gli altri licenziabili. Il rimedio proposto da Ichino è noto: indebolire la tutela dei supposti privilegiati.
Senonchè gli unici veri privilegiati, nel nostro sistema, sono quelli che sbagliano senza pagare per i loro errori, come i responsabili della recente crisi economico-finaziaria. Il premio Nobel Krugman ha detto che, dopo quanto è accaduto, i “fondamentalisti del mercato” dovrebbero andare a nascondersi. Invece predicano e cercano di far pagare ad altri le conseguenze del loro operato.
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