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Il conflitto israelo-palestinese passa anche per Facebook
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di Gian Mario Gillio*

Il conflitto israelo-palestinese passa anche per Facebook

«Gli avvenimenti di Gaza ci rendono davvero tristi e crediamo che questo sia il luogo migliore per comprendere le ragioni dell’altra parte. È davvero importante che possiate ricordare le discussioni fatte in Italia agli incontri di “Fiori di pace”, speriamo anche che possiate tentare di capirci perché noi stiamo tentando di capire voi.» Con queste parole il 27 dicembre 2008 ebbe inizio la sofferta discussione su Facebook del gruppo «Fiori di pace», a poche ore dall’attacco aereo israeliano su Gaza con l’operazione “Piombo fuso”. A scrivere questi post due ragazze ebree israeliane Ruth e Shir di sedici anni, l’attacco nel frattempo provocava vittime e sofferenza. Qualche giorno dopo il giovane palestinese Mohamad: «Ok, leggo le vostre considerazioni da una settimana e non stiamo andando da nessuna parte. […] Perciò vi incoraggio, abbiamo bisogno di una soluzione che è nelle vostre mani, ragazzi di Israele, dalla parte di Israele, perché le nostre idee, i nostri pensieri, non saranno mai presi in considerazione perché vengono da noi arabi. Solo voi potete fermare tutto questo». Il vissuto crudo, a volte aspro, dell’attacco a Gaza è passato per Facebook certamente uno dei social network più utilizzati al mondo, ed è stato raccolto e documentato in 120 pagine, un libretto educativo disponibile in italiano e inglese, presentato in questi giorni in occasione dell’iniziativa nazionale “Fiori di pace” promossa dalla rivista “Confronti” e realizzata a Verona dall’Associazione “Il Germoglio”, il Liceo Maffei (una delegazione di studenti accompagnati dalla prof.ssa Patrizia Buffa, ha recentemente partecipato al viaggio “Time for responsibilities”, la marcia Perugia-Assisi che si è tenuta dal 10 al 17 ottobre scorso nei Territori palestinesi ed in Israele) e dagli Enti locali per la pace. «Anche quest’anno, e siamo al sesto gruppo ospitato per quanto riguarda Verona, i ragazzi israeliani e palestinesi sono giunti in Italia per incontrarsi, cosa spesso impossibile a casa loro per via del muro o dei checkpoint che limitano il passaggio in quei territori. Un luogo neutrale come l’Italia – racconta Marco Menin, presidente dell’Associazione “Il Germoglio” –, permette loro di raccontarsi e incontrarsi, conoscersi, per affrontare insieme le paure e le difficoltà che il conflitto mediorientale da sessant’anni produce. Il recente coinvolgimento del Liceo Maffei, grazie alla sensibilità del preside Butturini e dei docenti, ha certamente dato al progetto – chiosa Menin –  un valore aggiunto all’iniziativa». Il 28 novembre scorso uno dei momenti più significativi, l’assemblea pubblica al Liceo Maffei e alla quale hanno partecipato oltre 500 studenti. Lilia, palestinese diciottenne di Gerusalemme Est, ha raccontato ai ragazzi della scuola: «Ero molto agitata alla partenza da Tel Aviv, sapevo di dover incontrare i partecipanti di parte israeliana e che avremmo dovuto viaggiare con loro, questa cosa mi preoccupava molto. Ero partita con l’intenzione di non aprirmi troppo, insomma di tenere con loro una certa distanza, cordiale certamente, dialogica, ma distaccata. Quando ci siamo incontrati in aeroporto – ha proseguito la giovane Lilia – l’approccio non è stato dei migliori e, forse, loro lo hanno percepito. Anche arrivati all’aeroporto di Roma ognuno ha preso la sua strada, noi e il nostro accompagnatore Yasser ci siamo fatti un giro per l’aeroporto, per incontrarci nuovamente al gate con il gruppo israeliano accompagnato da Iris, per Verona. Oggi posso dirvi – ha proseguito Lilia – che credevo impossibile poter diventare amica di due israeliane come è successo con Anat e Rotem, con loro ho parlato di tutto, dal conflitto alle questioni personali, con loro ho condiviso la stessa camera, la gioia di sorridere e di raccontarsi anche le confidenze più intime e parlare dei ragazzi italiani. Anat seppur israeliana è d’accordo con me su molte cose rispetto alla situazione israelo-palestinese, anche lei spera in un futuro di pace, ma sappiamo tutte e due che sarà impossibile se qualcuno non interverrà dall’alto. Ora mi spaventa il ritorno, un turbamento dentro di me rimane, un conflitto interiore forte, ho capito che siamo tutti uguali come persone, anche se a casa nostra non sembra essere così. Noi siamo solo ragazzi – ha concluso Lilia –  difficilmente potremo intervenire per cambiare la tragica realtà che voi conoscete bene e che noi viviamo quotidianamente. Rimane il desiderio di incontrarci nuovamente in Italia. Ma l’amicizia resterà per sempre.» Ilo Steffenoni, il giovane del Maffei che a inizio ottobre ha raccontato sulle pagine de l’Unità il suo viaggio a Gerusalemme e Territori palestinesi, è uno dei pochi ragazzi italiani che sia riuscito ad entrare a Gaza: «malgrado ciò che ho visto, ritengo che non ci si debba soffermare solamente sulla sofferenza che i due popoli sono stati costretti ad affrontare nella storia, ma che si debba andare oltre, ascoltare le ragioni di entrambi e farli dialogare, perché solamente dal basso si può costruire una pace reale».
La delegazione di studenti israeliani e palestinesi, ospiti in questi giorni a Verona, è stata ricevuta da Comune e Provincia. I ragazzi, cinque israeliani della Galilea e quattro palestinesi di Gerusalemme Est, hanno partecipato a wokshop realizzati dallo psicoterapeuta Mustafa Qossoqsi che da anni opera nel campo dell’intervento con i ragazzi per la prevenzione e la cura dei traumi di guerra: «Fiori di pace è un progetto di pace preventiva, la cui efficacia è  favorita dalla continuità e dal sostegno delle realtà istituzionali e sociali nella terra d’origine. Non è un  progetto di massa,  ma è un’esperienza  che i ragazzi portano e diffondono nei loro territori. Questi ragazzi, bambini, vivono una realtà insostenibile anche per il loro sviluppo psicologico e sono candidati perenni ad essere traumatizzati. Farli incontrare – ha rilevato Qossoqsi – oltre ad aiutarli a superare le paure e i pregiudizi è un modo di accrescere la loro resilienza».
Una serie di studi psicologici dimostra quanto sia difficile la condizione adolescenziale tra i giovani israeliani sottoposti alla costante minaccia di devastanti attentati terroristici; d’altra parte è ormai ampiamente documentata la situazione degli adolescenti palestinesi, stretti dalla violenza dell’occupazione e la propaganda delle fazioni estremiste e militarizzate. Parlare di pace, in questo quadro, è molto difficile. Da qui l’importanza dei programmi educativi che consentono di incontrare l’altro direttamente, fuori dagli schemi di pregiudizio correnti, in un clima rilassato che faciliti l’incontro e l’amicizia. I prossimi appuntamenti con “Fiori di pace” a Romallo (Val di Non) su iniziativa dell’associazione “L’Arca” e a Poppi, in Toscana, grazie al sostegno della Chiesa Avventista.

*Direttore della rivista “Confronti”


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