di Ali Izadi
Giorni fa stavo guardando la Bbc e a un certo punto ho sentito un giornalista che chiedeva a un manifestante: “who is next?” Quel ragazzo non ci ha pensato tanto su e ha risposto: “ penso che si tratterà di un paese musulmano, ma non arabo: sì, penso che il prossimo sarà l’Iran.” Adesso spero che abbia avuto ragione lui, spero abbia avuto ragione “Il Mondo di Annibale” che il 10 febbraio ha fatto la stesa previsione, o ha espresso lo stesso auspicio. Ho difficoltà a scrivere questo articolo perché sto sentendo le notizie che arrivano da Tehran e anche da altre città. Hanno arrestato Musawi, il leader dell’opposizione; si trova agli arresti domiciliari, come Karrubi, l’autorevole esponente della sinistra islamica che aveva indetto questi cortei di solidarietà con i nostri fratelli egiziani, insorti contro il tiranno. Non è strano che li abbiano proibiti? Non avevano detto che il Cairo stava diventando khomeinista? La stessa stranezza trovo in altri articoli, di altri paesi, che avevano espresso lo stesso timore. Il “Jerusalem Post” ad esempio dice che questa potrebbe essere la scintilla della nuova rivoluzione iraniana. A parte il fatto che anche loro avevano scritto che l’Egitto poteva khomeinizzarsi, non penso proprio che le cose stiano così; noi iraniani siamo stanchi di rivoluzioni, perché sappiamo che andrebbe finire come dice Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Queste proteste vogliono invece determinare un cambiamento vero, una riforma reale e quindi profonda.
Succedono cose strane nel mondo, come a Tehran. No, non vorrei essere frainteso: i basij, i miliziani che di norma fanno il lavoro sporco per conto dei pasdaran, stanno picchiando duro, come al solito. Per le strade si parla già di un morto, come al solito. Le carceri sono stracolme di nuovi arrestati, come al solito. “Tehran è nel caos più assoluto”, mi ha detto un amico poco fa: intorno a piazza della Rivoluzione non si sente altro che “morte al dittatore”. Beh, col cuore gli iraniani lo gridano tutti i giorni, ma oggi sono tornati a strillarlo per strada.
Così mi ricordo di Vayel Qanim, il direttore di Google Egitto, sapete chi è, no? Quello che hanno tenuto in isolamento per dieci giorni in Egitto. Beh, lui aveva detto: “ A tutti gli iraniani dico, come noi egiziani abbiamo imparato da voi , ora voi dovete imparare da noi, imparate che se tutti insieme crediamo in un sogno allora quel sogno diventa realtà.”
Vorrei potergli parlare a Vayel, imparare da lui. A maggiore ragione in queste ore. In queste ore a Tehran tantissimi giovani stanno sognando per strada di dare ulteriore impulso al loro movimento civile, quello di cui parlano Karrubi e Musawi, in piena solidarietà con i fratelli d’Egitto.