di Riccardo Cristiano
da Il mondo di Annibale
Non aveva altro da fare Bashar al-Assad che organizzare una bella esercitazione militare, molto pubblicizzata, nei pressi di Palmira, il 3 dicembre appena trascorso? Perché l’ha voluta? E perché il premier israeliano, il giorno seguente, ha avvertito il bisogno di ricordare che Ben Gurion fece bene a procedere per la sua strada e proclamare la nascita dello Stato d’Israele nonostante quasi tutta la Comunità Internazionale lo sollecitasse ad aspettare? E la guida suprema della rivoluzione iraniana, Ayatollah Khamenei, doveva proprio lanciare i suoi “studenti” all’assalto dell’ambasciata britannica? Russi e americani, infine, davvero non sanno dove si trovino le loro flotte? Perché, sempre in questi giorni, dicono che stanno da una parte e invece stanno da un’altra, guarda caso nei pressi della Siria le prime e dell’Iran le seconde? E infine, per quale motivo il segretario generale di Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha deciso di uscire di casa, per la prima volta da quattro anni a questa parte, e dire ai suoi che appoggeranno Bashar al-Assad fino alla fine?
Ci sono segnali inusuali in questi giorni, come le parole irrituali della signora Clinton, che ha detto ufficialmente che certa destra israeliana al riguardo dei diritti della donna ricorda l’Iran. La cittadina ultra ortodossa di Bnei Brak come Tehran. E anche alcune campagne governative per il rientro dagli Stati Uniti degli israeliani in Israele hanno fatto scalpore, tanto che poi sono state ritirate. Eppure la linea tenuta da Washington al riguardo dei palestinesi non sembrava tale da poter irritare Tel Aviv? E allora?
Il toto-guerra è già cominciato da tempo, e in un bellissimo articolo che abbiamo pubblicato qui pochi giorni fa Ali Izadi ci ha spiegato da iraniano che Khamenei una guerra la vede di buon occhio, la vuole, perché spera che abbia l’effetto che ebbe quella contro Saddam ai tempi di Khomeini, che infatti ci si buttò a corpo morto. L’intervento dei suoi “studenti” era un modo per ottenerla, aperta però, visto che le “esplosioni” sempre più frequenti in Iran indicano che una “guerra ombra” contro il progetto nucleare è già in atto. E Bashar al-Assad? Qualcuno può dubitare che anche a lui farebbe comodo una bella guerra? Se proprio lo scenario siriano è l’incubo di Khamanei, figurarsi quanto lo sia per Bashar. E per uscirne una bella guerra non sarebbe un dono prezioso?
C’è poi Hezbollah, che non ha mandato segnali espliciti; ma il Partito di Dio oltre ad essere agli ordini diretti di Khamenei è anche in acque agitate di suo, visto che non è riuscito a impedire che il suo premier, il libanese Mikati, rifinanziasse il tribunale internazionale per il Libano, quello che vuole processare quattro dirigenti di Hezbollah per l’assassinio di Rafiq Hariri.
Poi c’è Netanyahu: gli conviene attaccare l’Iran? Certo a chi in Israele si oppone in via di principio alla formula ” 2 popoli per 2 stati” può convenire che Khamenei e Assad continuino a sgovernare orribilmente i loro paesi, a rappresentare un’alternativa impresentabile (sgoverno di cui ovviamente portano la sola responsabilità).
Eppure molti analisti qualificati, seri, seguitano a dire che la guerra non è dietro l’angolo, anzi… Per loro la via dell’esilio si avvicina per Bashar al-Assad, e questo costituirebbe un tale rimescolamento degli equilibri geopolitici nell’area da impedire al partito bellicista israeliano di procedere. Se cadesse Bashar non ci sarebbe più una via di collegamento tra Tehran e il suo avamposto in Medio Oriente, Hezbollah. Il colpo sarebbe durissimo, come giustificare un attacco? E infatti chi sembra opporsi a questa guerra, cioè l’amministrazione Obama, sta accelerando sul tentativo di far cadere Bashar, con il pieno sostegno dei turchi. Qualcuno potrebbe dire che l’obiettivo dell’attacco sarebbe un altro, impedire a Tehran di costruire la bomba. Ma su questo moltissimi esperti si sono già espressi, dicendo che questo obiettivo non può essere conseguito militarmente: gli obiettivi sarebbero talmente diffusi sul terreno da rendere necessario un intervento così diffuso da mettere a repentaglio infine vite civili e da rendere indispensabili successivi bombardamenti, quasi su base periodica.
Non non facciamo i cartomanti, quindi questo articolo non serve a dire che la guerra ci sarà, o che non ci sarà. Sappiamo tutti che l’ipotesi è sul tappeto, quanto lo sia non lo sappiamo. Ci interessa però sapere che guerra sarebbe. La guerra che molti sognano in Medio Oriente sarebbe una guerra contro la primavera? Sembrerebbe di sì. E infatti molto assicurano che anche i sauditi siano nel fronte dei fautori dell’attacco. Certo non è “la primavera” il motivo per cui Washington si opporrebbe a questo intervento, ma il prezzo del barile. Un motivo molto simile a quello per cui la Cina, che si approvvigiona di petrolio iraniano, si dice pronta a difendere Tehran fino alla Terza Guerra Mondiale.
In tutto questo però è interessante notare quale potenziale dirompente abbia la primavera araba: Khamenei, Assad e i petromonarchi sauditi sono per paradosso sullo stesso carro, quello dei guerrafondai, carro su cui si collocano anche quei pezzi dell’establishment israeliano che favoriscono l’opzione bellica. E’ un peso enorme per la fragile primavera araba, sulla quale non ha investito una lira proprio nessuno. Se la guerra non ci sarà non sarà perché qualcuno ha deciso finalmente di farlo, ma perché il costo petrolifero sarebbe troppo alto. Ma che qualcuno cominci a riflettere sull’importanza di investire sulle primavere per avviare un circuito virtuoso nel Mediterraneo è ormai un’ esigenza politica ed economica prioritaria.