di Filippo Vendemmiati
Sahid Belamel, trent’anni, morì di freddo il 14 febbraio di un anno fa. Era ubriaco quando uscì da una discoteca alla periferia di Ferrara. Anzi, in chiaro stato confusionale, forse fu cacciato dal locale e nessuno si prese cura di lui. La Procura sostiene che quella notte vi furono una concatenazione di omissioni e non tutte sono state accertate. ”Sahid,si scrive negli atti, era incapace di provvedere a se stesso per abuso di alcol ed era in evidente stato confusionale”. Nessuno che gli era accanto lo aiutò, chiamando semplicemente un’ambulanza. L’amico, i due responsabili della sicurezza del locale e il taxista che, avvisato dall’amico si rifiutò di caricarlo. Queste quattro persone sono ora state rinviate a giudizio e tra alcuni mesi dovranno rispondere a processo dell’accusa di omissione di soccorso.
Le indagini hanno però rivelato uno scenario di indifferenza e abbandono più grave. Le telecamere di un’azienda artigiana hanno ripreso gli ultimi minuti della vita dell’uomo. Sahid barcolla, si tiene in piedi a fatica, mentre si allontana e cammina lungo la via. Si avvicina al cancello della fabbrica, chiede aiuto, urla, si arrampica, è seminudo, faceva molto freddo, temperatura sotto zero. Sullo sfondo passano le auto e nessuno compie nemmeno il gesto più elementare, non quello impegnativo di fermarsi, ma quello più banale di telefonare al pronto soccorso. Sahid resta solo per molte ore, vaga, cade in un fossato ghiacciato, resta bagnato. Viene soccorso solo la mattina dopo quando finalmente qualcuno avvisa le forze dell’ordine. Altre immagini lo riprendono cianotico mentre sbatte le testa a terra e poi si spegne. L’autopsia stabilirà che morì per assideramento.
La notizia del processo e la memoria della storia mi arrivano via e-mail mentre Rai News trasmette le telefonate degli ascoltatori di Radio Padania sugli sbarchi a Lampedusa e sul genocidio in Libia. L’ultima è questa: “Smettiamola di chiamarli migranti, chiamiamoli con il loro nome, invasori”. Testuale.