di Loris Mazzetti
Accostare Giuliano Ferrara a Enzo Biagi è un’eresia. Il Fatto nacque (presidente Rai Letizia Moratti), per un’esigenza di palinsesto: creare un break pubblicitario in più nella fascia di maggior ascolto, quella dopo il Tg 1. Fu realizzato uno studio con tanto di sondaggio da cui risultò che il giornalista, che per credibilità professionale e per statura morale in grado di andare in onda per pochi minuti tra due spazi pubblicitari, senza far perdere ascolto a Rai 1, era Enzo Biagi (secondo risultò Piero Angela, non ricordo di aver letto il nome di Ferrara già allora sulla breccia). Il Fatto di Enzo Biagi (il vero titolo della trasmissione) andò in onda per 8 edizioni con una media di ascolto del 24% di share con oltre 6 milioni di telespettatori a puntata, con punte addirittura di 11 milioni. Il Fatto è stato premiato nel 2004 come il miglior programma dei primi cinquant’anni della Rai. La trasmissione approfondiva l’avvenimento del giorno partendo da un punto di vista, quello di Biagi, dando la parola a tutti i protagonisti, nessuno escluso. Al di là dell’editto bulgaro (la puntata di Benigni, durante la campagna elettorale del 2001 fu una scusa, a B. dava fastidio l’indipendenza di Biagi e la goccia che fece traboccare il vaso fu l’intervista a Indro Montanelli di qualche mese prima). Il Fatto è sempre stato citato come esempio di tv di servizio pubblico. Lo stesso B. intervenne diverse volte. Ferrara, mi auguro che non si offenda se lo definisco il vero fazioso, lui stesso si è dichiarato: “un maestro di partigianeria”, arriva in Rai solo per “ragioni politiche” e non professionali. Credo che nessuno si sia accorto della sua assenza, ormai triennale, dal video. Lilli Gruber lo ha sostituito più che degnamente a 8 1/2, triplicandone gli ascolti. Il direttore, ex comunista, ex socialista, ex parlamentare europeo, ex ministro, torna in Rai solo perché B. è un bulimico: non si accontenta di avere a disposizione tutto lo spazio mediatico, vuole di più: si è reso conto che i suoi “addetti” (i Sallusti, i Belpietro, le Santanchè, le Bernini, ecc.), non bucano il video, anzi alla lunga la loro arrogante antipatia diventa controproducente alla causa. Ferrara, invece, è capace di stare davanti ad una telecamera, anche se il guizzo di Radio Londra è lontano e lo stesso giornale da lui fondato, Il Foglio, non fa più opinione ed è in profonda crisi. Non si può fare il giornalista e il politico allo stesso tempo. Della sua discesa in politica alle elezioni del 2008, con la lista Aborto? No grazie, ci si ricorda per il suo spiritoso commento al risultato: “Più che una sconfitta, una catastrofe: io ho lanciato un grido di dolore per un dramma e gli elettori mi hanno risposto con un pernacchio”. Ferrara per anni ha scritto male di Biagi, spacciandosi come il Robin Hood di B. Con il distacco che il tempo inevitabilmente porta, penso che quel suo modo di fare più che dettato dall’essere un dipendente di B. era la conseguenza di una profonda umiliazione che Biagi e il suo amico Montanelli gli avevano dato. Quando Ferrara andò a dirigere Panorama, Biagi e Montanelli si dimisero dal settimanale. Ricordo le sue telefonate per convincere Biagi a rimanere. L’ultima volta che i due si parlarono, Biagi gli disse che la sua presenza sarebbe stata di intralcio al suo lavoro. Sia Biagi che Montanelli avevano capito la vera intenzione di Ferrara: quella di trasformare lo storico giornale, che era stato diretto da due grandi: Lamberto Sechi e Claudio Rinaldi, in house organ di Forza Italia. Cosa che avvenne regolarmente. Il punto più basso Ferrara lo toccò l’anno dopo durante la direzione di Rossella. Dedicò la sua rubrica, l’Arcitaliano, ai due grandi giornalisti, ricoprendoli di insulti. Il vero inizio della macchina del fango. Ottanta colleghi di Panorama mandarono una lettera, a difesa di Biagi e Montanelli, al direttore per dissociarsi da quell’articolo.
Se, nonostante i tanti cloni che sostituirono Il Fatto (Battista, Giannino, Berti, Mimun, i conduttori), durati il tempo di un sospiro, si continua a parlare solo della trasmissione di Biagi, una ragione ci sarà. Sempre su Panorama nel 2001 Ferrara scrisse: “Mi sono chiesto se avrei mai fatto contro un D’Alema ciò che ha fatto Enzo Biagi in tv contro Berlusconi. In quel caso, sarei andato in camerino, e mi sarei sputato in faccia”. Rimango in attesa di vederlo in onda il 14 marzo dopo il tg.