di Gilberto Squizzato
Immobilizzato in casa da un mese per un banale incidente, ho seguito in tv la diretta della manifestazione di Roma e su Internet la cronaca di quelle di Milano e delle altre città: e intanto ho sentito nascere dentro di me alcune considerazioni, che ora mi permetto di proporre, su invito di Beppe, a qualcuno dei nostri pazienti lettori.
Se fossi stato in piazza avrei condiviso l’euforia dei presenti e il loro entusiasmo. Da casa invece non potevo trascurare il fatto che anche una manifestazione così grandiosa e partecipata avrebbe subito, di lì a poco, la furia smantellatrice di un sistema mediatico che l’avrebbe derubricata a piccolo evento di cronaca politica, mentre Giuliano Ferrara, da lunedì, su Rai Uno dopo il TG delle 20, potrà quotidianamente denunciare la “crociata puritana” in atto a suo dire in questo paese. Ci sarebbe di che scoraggiarsi, e invece no. Mi prendo lietamente – e senza darmi per sconfitto- l’accusa che Ferrara ritiene infamante e mi schiero coi “puritani” che stavano ieri in piazza. Spiego perché.
1. I puritani, come li chiama questo campione di realismo post-comunista e post- sovietico, sono accomunati dalla passione, cioè da un’autentica “sofferenza”. Non si tratta però di una sofferenza autocompiaciuta e fine a se stessa, ma di un autentico dolore che diventa energia creativa. Bastava ascoltare la commozione di Santo Della Volpe, di Vecchioni, di Giulietti, dei tanti “comunicatori” (insegnanti, studenti, lavoratori, precari, sindacalisti, artisti) che parlavano dal palco ai loro interlocutori (che non erano “pubblico” ma “popolo”) per sentire che essi non erano lì a crogiolarsi nelle proprie sconfitte ma ad affermare con vigore la voglia di combattere per un interesse comune che trascenda i singoli. (Mi tornava in mente Pasolini: “Ci vogliono ugole forti, oggi, per dire una sola sommessa parola d’amore…”)
2. I puritani sono sempre stati una minoranza: in alcuni casi molto ampia, ma pur sempre minoranza. Eppure questa una minoranza non è meno contagiosa di quella dei cinici, perché ci sono momenti decisivi nella storia delle nazioni in cui anche i cittadini più indifferenti comprendono che di cinismo l’anima muore. Perciò, nonostante gli attacchi pesantissimi alla Costituzione portati in questi anni da poteri immensamente forti, mi sento di affermare che l’attiva minoranza che la difende avrà buon gioco sulla propaganda contraria anche se questa dispone di armi mediatiche di potenza apparentemente smisurata. Guardando da casa si capiva che quella riunita a piazza del Popolo non era gente venuta a fare una passeggiata e disposta a tornare rassegnata e vinta alle proprie case.
3. I puritani sanno resistere per anni, per decenni (come i confinati dal regime fascista) perché hanno il fiato più lungo dei realisti. Essi non si nutrono del presente (tanto meno dell’effimero), non lo metabolizzano con il calcolo rassegnato delle opportunità individuali, ma lo trascendono verso un futuro diverso e “comune”: il loro non è un sogno, ma una speranza (certamente patetica per Ferrara, il cinico che confonde la speranza con l’ideologia). Questo progetto che guarda al futuro (penso al “principio speranza” di Bloch…) diventa immediatamente consapevolezza critica del presente, contro questo presente, e dunque azione.
4. I puritani vivendo in una dimensione temporale che scavalca il presente (senza però rinunciare a goderlo intensamente) vivono già, in anticipazione, il futuro imminente stanno costruendo. Ecco perché, anche nella provvisoria sconfitta, i puritani sanno fare festa, com’è accaduto ieri nelle piazze d’Italia che hanno ospitato le loro manifestazioni molto arrabbiate ma anche molto gioiose. La festa reale e spontanea non ha nulla a che fare con il successo televisivo, con il consenso mediatico, con gli applausi preregistrati del regime berlusconiano.
5. I puritani sono sempre, perciò, anche dei “padri pellegrini e fondatori”. Padri perché non pensano al proprio effimero tornaconto ma ai propri figli e nipoti, perché si battono per i diritti di altri e non solo per i propri. Pellegrini, nel tempo e non solo nello spazio, perché non si acquietano nell’accettazione del presente. Fondatori perché, come il popolo ieri riunito nelle tante piazze d’Italia in difesa della Costituzione, vogliono dare solido fondamento al progetto che li accomuna. Non vogliono costruire sulla sabbia (Mt. 7, 25) ma sulla roccia di valori solidi e condivisi (come, nel nostro caso, quelli della Costituzione nata dalla Resistenza).
6. I puritani non si battono per difendere la propria purezza o per imporla agli altri, ma per difendere la trasparenza del fondamento e del progetto. Si sbaglia Ferrara quando li considera dei moralisti: ciò che li muove non è l’osservanza maniacale delle regole etiche (non sono farisei, paghi dello scrupoloso rispetto delle prescrizioni) perché sanno benissimo di essere dei peccatori come gli altri. Ma a differenza dei cinici realisti come Ferrara non si rassegnano alla banalità prosaica del reale. Non solo: essi sono sempre critici verso se stessi, ben consapevoli dei propri tradimenti e alle proprie viltà, a cui però non si rassegnano. I puritani sanno sempre ripartire dopo i propri errori.
7. I puritani sono autenticamente liberali: essi combattono perché tutti e non solo una minoranza (gradita al principe, dotata di risorse finanziarie, di privilegi sociali e culturali, ecc.) possano perseguire il proprio progetto di felicità. Finché questa facoltà è negata anche a un solo cittadino, allora essi – che si sentono corresponsabili non della felicità altrui, ma della rimozione, per quanto possibile, di ciò che la impedisce- non si danno pace, mentre Ferrara dorme tranquillo perché il suo è un liberalismo solipsistico e ancorato all’effimero di un reale accettato per quello che è.
8. I puritani (a dispetto di Ostellino) hanno una concezione positiva e non negativa della libertà. Non libertà “di” (fare i propri affari, godersi i propri privilegi, anche di comprarsi le escort, se vogliono), ma una libertà “per” (un progetto) e “con” (gli altri). E nella fattispecie che tanto irrita Ferrara “il mutandero”, la libera scelta di con-dividere anche il piacere -dandolo e ricevendone gratuitamente in regime di reciprocità- piuttosto che il godimento solitario di chi lo compra sul mercato dalle escort. I puritani dunque non amano la libertà della solitudine ma l’apertura alla comunicazione gratuita, praticano quanto più possono l’etica del dono.
Questo e molto altro ho visto e sentito partecipando, seppur da lontano, alle gioiose manifestazioni di sabato 12 marzo in difesa della Costituzione. E mi sono convinto che i cosiddetti “puritani” censurati e vilipesi da Ferrara sono invincibili semplicemente perché non si danno e non si daranno per vinti nel coltivare il loro “sogno di una cosa” (come diceva Pasolini). Io sto con loro. Oltretutto si ascoltano da loro belle bellissime canzoni…
(PS. Ci sarebbe anche da chiederci perché, dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’URSS, il realismo cinico incarnato da Ferrara sia così ampiamente dilagato in tanta parte di quella che un tempo era la sinistra comunista e socialista italiana. Ma questo è un altro discorso…)