di Brunella Trifilio
Enrico Vescio la sua giornata mondiale del disabile (si celebra il 3 dicembre di ogni anno n.d.r.) l’ha trascorsa all’insegna della normalità. Un giorno come un altro, a rincorrere le solite cose, impegnative, ma importanti. Per lui le difficoltà giornaliere non nascono dall’ essere diversamente abile, ma dai problemi da affrontare per la gestione dell’ associazione “San Francesco” per la tutela dei diritti dei disabili e dal “Movimento politico a rotelle per una Calabria ribelle” di cui è fondatore e presidente. Un nome pittoresco conferito ad un movimento politico, proprio per evidenziare le difficoltà che persone come lui devono affrontare nel quotidiano, nell’indifferenza totale della politica.
Il 3 Dicembre ricorre la Giornata Internazionale delle Persone Disabili: solo una celebrazione di 24 ore contro un silenzio di 365 giorni o un incisivo momento di crescita tra persone - disabili o semplicemente impegnate nel dimenticato mondo della disabilità – desiderose di lanciare un messaggio di fattivo cambiamento?
“Solo una celebrazione che dura un giorno. Stasera sono qui a parlare con lei, ma mi è consentito solo per poco tempo: se non rispetto l’orario di rientro a casa, che è quello dell’unica possibilità di ritorno con l’assistenza comunale, resterò sulla strada. Se da una parte la politica è latitante, dall’altra il mondo dell’associazionismo è assente nella nostra vita di tutti i giorni. A cosa serve che i volontari siano presenti alla Giornata Internazionale delle Persone Disabili se poi rimaniamo da soli quando più ne abbiamo bisogno”?
L’ONU ha istituito la Giornata Internazionale delle persone disabili nel 1992 e l’Unione Europea l’ha recepita a distanza di un anno: cos’è cambiato in seguito?
“Niente: sempre gli stessi problemi per 365 giorni l'anno, da sempre”.
Il 2009 chiude il ventennio trascorso dall’approvazione della Legge 13. Quella normativa doveva essere il punto di partenza per l’abbattimento delle barriere architettoniche nel nostro Paese. Questa previsione legislativa rispettosa delle vostre ragioni e, più in generale, della Costituzione italiana che garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo”, dal suo punto di vista, si è tradotta in interventi concreti che possano consentirvi una vita normale come dovrebbe essere per ogni essere umano, senza distinzione alcuna?
“La Legge 13 non è stata rispettata: al Sud, nell’ultimo mese, ho visto aprire nuovi locali pubblici privi delle caratteristiche minime per favorire l’ingresso dei disabili. E’ passato un ventennio quasi inutilmente”.
Trova che ci siano differenze tra Nord e Sud nell’attuazione dell’impegno a eliminare le barriere architettoniche? “Certamente. Al Nord - faccio l’esempio di prima - risulta più difficile ottenere una licenza commerciale qualora non siano state rispettate le previsioni normative che vietano le barriere architettoniche. Al Sud tutto è possibile”.
A chi ritiene si possano attribuire le principali colpe di una tale leggerezza?
“Alla politica: è sempre più lontana dai problemi della gente comune e dei disabili a maggior ragione. A metà degli anni novanta non ho dovuto lottare molto per realizzare, a Cosenza, un sogno che avevo da bambino: ottenere un sistema di trasporto pubblico a chiamata per muoversi in città. Da qualche anno la regressione pubblica nel rispetto dei nostri diritti è sempre più evidente. Non posso più andare al cinema o al teatro se non avvertendo l’Ufficio Disabili almeno un giorno prima e purché lo spettacolo finisca entro le 19.30 (ora dell’ultima corsa per tornare a casa). Il sabato e la domenica il servizio è sospeso salvo che non si faccia domanda per iscritto con almeno 5 giorni d’anticipo. Un’eventuale emergenza nel fine settimana non è contemplata dal servizio pubblico così come il mondo dell’associazionismo non è presente nei giorni festivi e negli orari non canonici”.
Quali sono gli interventi più urgenti o prioritari?
“Sicuramente l’aumento dei sussidi per il disabile che decide di vivere in casa propria invece che in una Casa di cura”.
Si ha ancora difficoltà a definirvi: diversamente abili, portatori di handicap e così via. Resistono ancora le barriere morali, oltre a quelle fisiche. Come si definirebbe se glielo chiedessero e come vorrebbe che le persone attorno a lei si comportassero nella vita di tutti i giorni?
“Io mi definisco un uomo fortunato perché sono disabile solo fisicamente. Vorrei che gli altri mi rispettassero come essere umano e non con gli artifici del vocabolario. Vorrei che la gente definita normale la smettesse di parcheggiare la macchina a ridosso degli scivoli dei disabili, magari solo per prendere un caffè o un aperitivo. Questi automobilisti non sanno – forse perché il problema non se lo pongono – che io preferisco camminare, con la mia carrozzina, tra le automobili in movimento per non tornare indietro ogni qual volta raggiungo lo scivolo alla fine del marciapiede. L’uomo definito normale dovrebbe interiorizzare le mie difficoltà a camminare per strada, rinunciando al problema irrisolto di come definirmi”.
Quanto incidono le ritrosie psicologiche della gente sulle vostre difficoltà quotidiane rispetto a quelle che scaturiscono dalle barriere architettoniche?
“Ancora molto, ma i problemi gravi sono altri. In ordine di priorità, segnalerei le nostre difficoltà economiche, l’inadeguatezza dei servizi di trasporto, l’impossibilità di trovare un lavoro e di praticare attività sportive e ricreative. Il sussidio che riceviamo dallo Stato, appena sufficiente per mangiare, non ci consente di farci assistere. Esiste ancora una grande sproporzione quantitativa tra le risorse monetarie assegnate al disabile e quelle stanziate per i Centri d’assistenza. Mi chiedo il perché di una tale scelta politica vantaggiosa solo per pochi e non certamente per noi disabili”.
Con la legge 18 del 3 marzo 2009 l’Italia ratifica la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Una svolta imminente o il solito sistema per lavarsi la coscienza in una società civile dove le dimenticanze sui diritti elementari dei disabili sono gli handicap più gravi del nostro presente?
“Staremo a vedere. Intanto devo scappare: sta squillando il cellulare. L’impiegato comunale che deve riaccompagnarmi a casa sta facendo già lo straordinario per me senza retribuzione. E’ l’ultima corsa per i disabili e non posso approfittare del bene che mi vuole quest'amico, come mai approfitterò dell’amore delle altre persone di buon cuore che – per fortuna - riempiono i buchi larghi lasciati dai nostri governanti nell’esistenza che ci ritagliamo - con immensa fatica ogni giorno - solo perché vogliamo continuare a vivere”.