di Giuseppe Basile
Che nel titolo dell’ultimo libro di Antonio Ingroia (Nel labirinto degli dèi. Storie di mafia e di antimafia, Edizioni Il Saggiatore) ci fosse un riferimento al Gattopardo del Principe di Lampedusa lo dice lo stesso autore, ma in che senso egli lo avesse voluto usare lo si è sentito affermare dalla sua viva voce in occasione della presentazione che ne è stata fatta nel Baglio Florio del Parco archeologico di Selinunte: “ …la nostra terra è una terra intrisa di storia e di mito, anche la storia della mafia è intrisa di un’aura mitica che noi le dobbiamo togliere.”
Si consumava con questa iniziativa quello che, per ammissione unanime da parte degli interessati, si configurava se non proprio come atto espiatorio certamente come momento di riconciliazione tra il giudice antimafia, che ne era stata la “vittima” più importante, e i castelvetranesi.
Era successo infatti che ad un incontro pubblico nel Teatro cittadino Selinus con il magistrato e il “pentito” castelvetranese Vincenzo Calcara, incontro organizzato dalla Associazione Antiracket e antipizzo della provincia di Trapani sul tema Educhiamo alla legalità ( che coincidesse con l’anniversario della nascita del giudice Paolo Borsellino si sarebbe saputo dopo) ma sollecitato dal “pentito” per avere l’opportunità di parlare della sua esperienza ai giovani compaesani, erano intervenute pochissime persone ( anche se tra queste c’era il Sindaco) e, cosa giudicata ancora più allarmante, nessuna rappresentanza scolastica.
Francesco Fiordaliso, preside di 3 dei 4 Istituti superiori presenti in città, non aveva ritenuto opportuno, sotto l’aspetto educativo, l’incontro con il “pentito”, e lo aveva del resto fatto subito presente pubblicamente .
Si sarà trattato senza dubbio, come hanno dichiarato in più occasioni i protagonisti dello spiacevole episodio, di un “difetto di comunicazione”, ma non ci vuole molto a capire come, verificandosi nella città natale di quello che viene ritenuto oggi il vero padrino della mafia siciliana ( anche se “ invisibile”, come suona il titolo di un recentissimo libro di Giacomo Di Girolamo pubblicato dagli Editori Riuniti), l’avvenimento si prestasse ad una interpretazione ben diversa, come se la mancata partecipazione di un pubblico adeguato fosse stata ispirata da paura o, peggio, da sotterranea collusione con il concittadino boss.
Anche per fugare ogni dubbio in questo senso, la “cerimonia di riconciliazione” si è svolta in modo inappuntabile: c’erano tutte le autorità cittadine, esponenti autorevoli di quelle provinciali e regionali, numerosi ( e sino alla fine attentissimi) gruppi di studenti in rappresentanza delle Scuole medie superiori con i presidi Fiordaliso e Pirri, una presenza cittadina qualificata e numerosa – cosa tanto più apprezzabile in quanto l’incontro veniva a cadere in una giornata lavorativa e si svolgeva in condizioni ambientali piuttosto proibitive, a causa della mancanza di riscaldamento e dei sedili ( presumibilmente per motivi di design) mancanti di spalliera.
In realtà l’iniziativa di presentare in quel luogo apparentemente “ anomalo” il nuovo libro del magistrato antimafia era partita prima e quindi indipendentemente dal “caso Castelvetrano” ed era stata originata dalla volontà della nuova Soprintendente al Parco archeologico , Caterina Greco, di trasformare uno dei più importanti siti archeologici del Mediterraneo in soggetto culturale attivo, facendolo finalmente uscire dallo stato di infermità permanente in cui era stato lasciato negli ultimi anni.
In questa direzione aveva trovato l’appoggio fattivo del Comune di Castelvetrano, nel cui territorio rientra il Parco, e che in passato aveva dovuto prendere atto più di una volta dello scarso interesse dimostrato dagli Enti di tutela ( che in Sicilia, regione a statuto autonomo, è di competenza appunto regionale) ad un percorso di reale valorizzazione, che ovviamente deve fondarsi su una seria attività di salvaguardia, senza la quale il risultato non può che essere quello che la stessa Greco ha dovuto denunciare quando il grave stato di degrado, in particolare del Tempio C, ha fatto temere la perdita di quelle millenarie rovine o quanto meno gravissimi danni.
La presentazione di quel volume avrebbe dovuto aprire ( e in realtà ha aperto) la serie delle iniziative, il cui scopo era anche quello di creare occasioni di riappropriazione ideale da parte della comunità locale, di segno esattamente opposto a quello che negli Anni ’60 aveva consentito il saccheggio della “contrada” Triscina, una fascia di costa a poche centinaia di metri ad ovest dell’Acropoli, e che aveva spinto il Soprintendente Vincenzo Tusa, ad innalzare una sorta di “ vallo” per proteggere l’area del sito dall’inesorabile avanzare della nuova edilizia balneare, che andava gonfiando in maniera ipertrofica il primitivo, discreto villaggio di pescatori, Marinella, giungendo ad edificare fin sulla battigia.
Del resto, le “storie” vere raccontate nel libro in maniera così viva e sapiente, non potevano che essere accolte con grande rispetto ed interesse dalla Amministrazione cittadina: Castelvetrano infatti, nell’ambito dei paesi della Valle del Belice aderenti al “Consorzio della legalità”, è quello che può vantare la più importante valorizzazione di beni sequestrati alla mafia, dato che su uno di questi, un terreno alla periferia nord dell’abitato sequestrato a Totò Riina, è in corso di realizzazione il Centro direzionale della Città, con i nuovi Uffici Comunali già attivi e la Caserma della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato in costruzione
E, quanto alla scuola, gli Istituti di più antica tradizione, quella liceale ( due dei quali dedicati ad illustri concittadini quali il cappuccino garibaldino Fra’ Giovanni Pantaleo ed il filosofo neoidealista Giovanni Gentile), possono vantare una frequentazione abituale con vari rappresentanti della magistratura antimafia, e con lo stesso Ingroia, come risulta dagli Annali del Liceo, Logoi, che Fiordaliso edita ogni anno con estremo impegno e che rappresentano anch’essi la prova più evidente di quanto si possa fare in una situazione anche economicamente compromessa, senza dubbio a causa di una crisi profonda che non data da ora ma anche in seguito ai pesanti colpi che la magistratura e le forze dell’ordine hanno inferto e continuano ad infliggere alla mafia ed all’economia che ad essa fa riferimento.
Certo, al di là delle osservazioni dei presentatori ufficiali del libro (i due assessori regionali ai BBCC e alla Istruzione, Missineo e Centorrino, il Dirigente Generale dei 2 Assessorati Campo, il Sindaco Pompeo, il Responsabile Nazionale Beni confiscati dell’Associazione Libera Pati, il Direttore della Sede RAI Sicilia Cusimano oltre che, ovviamente, la Soprintendente Greco e il Giudice Ingroia) non c’è dubbio che, in un’ottica ( del resto obbligata, se si vuole realmente battere il potere mafioso) di sostituzione di un’economia legale a quella mafiosa, una valorizzazione adeguata del Parco potrebbe portare in tal senso un contributo importante.
E’ questa un’opzione che in passato è stata avanzata più volte, ma non si è mai riusciti a farla decollare: forse ( e sarebbe interessante poterlo verificare) proprio a causa di una sorta di “ peccato originale”, dato che il Parco a suo tempo era stato istituito, primo esempio in Europa e quindi in assoluto, proprio per contrastare le mire mafiose di speculazione intensiva, che avrebbero dovuto prendere corpo a cominciare dalla costruzione di un mega albergo tra i templi: ed è facile immaginare che cosa sarebbe successo in seguito, cioè dal momento in cui, con un tale precedente, sarebbe venuto a mancare ogni ostacolo a quel tipo di “valorizzazione” i cui esempi abbondano, e non solo in Sicilia.
Sia quel che sia, il Parco non deve stare molto a cuore ai mafiosi, anche locali, se nel ’93 –come racconta Rino Giacalone in un inquietante articolo su Antimafia Duemila on-line- Messina Denaro pensava di distruggere il Parco archeologico di Selinunte facendolo saltare in aria.
Perché poi il progetto venisse abbandonato non è chiaro: ma se lo scopo voleva essere più o meno analogo a quello che, qualche anno più tardi, nel 2001, avrebbe ridotto in polvere i due Budda giganti della Valle afghana di Bamiyan, allora non c’è dubbio che la spiegazione deve stare nel fatto che i “pezzi” ( così vengono chiamati in dialetto) di Selinunte non avevano la stessa valenza simbolica di quei monumenti fiorentini e romani, in particolare S. Giovanni in Laterano, nei confronti dei quali lo sciagurato progetto venne purtroppo portato a compimento.
Intanto, per fortuna, continua la serie di eventi in direzione della legalità, anche attraverso iniziative apparentemente non inerenti, ma che tendono a costruire varchi alternativi, come nel caso del II° incontro internazionale Architects meet in Selinunte: prospettive per il prossimo futuro, non casualmente sostenuto dall’ANCE Sicilia presieduta da Andrea Vecchio. Così come continua intensamente la tradizionale attività del Preside Fiordaliso, che il 16 maggio ospiterà inoltre un atto unico ( “ Ci posso offrire qualcosa?”) che la scrittrice e regista Emanuela Giordano ha dedicato a Paolo Borsellino e che verrà rappresentato ( il 14 maggio) anche ad Alcamo nella sua attuale funzione di sede della presidenza del Consorzio intercomunale della Legalità.