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Anche La Mecca trema
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di Francesco Peloso*

Anche La Mecca trema

da Il mondo di Annibale
Il lento ma inarrestabile dilagare delle rivolte arabe sta cominciando a preoccupare anche il cuore del mondo arabo-islamico, l’Arabia Saudita di re Abdullah, il monarca che è anche custode dei luoghi santi dell’Islam. La novità, però, è che pure i capi religiosi islamici osservano con crescente inquietudine il diffondersi delle proteste. Nel sermone del venerdì il grande imam della Mecca,  ha criticato duramente le proteste degli ultimi mesi. “Stanno soffiando venti di tempesta sui Paesi arabi -  ha detto lo sceicco Saleh Ben Mohamed Al-Taleb – i manifestanti invocano la separazione della religione dallo Stato”,  nelle dimostrazioni – ha aggiunto – si chiede che venga dato spazio “al multipartitismo e alle libertà non conformi alla sharia (la legge islamica, ndr), ciò non può che portare a un caos religioso e morale”. Lo sceicco ha chiesto ai leader arabi di non cedere di fronte a simili  rivendicazioni e anzi di reagire con “fermezza”. L’imam ha poi messo in guardia dal rischio che si producano divisioni all’interno della società e dell’unità garantita dalla legge islamica, “coloro che si avventurano oltre questo limite – ha ammonito – dovranno essere bruciati”.

Che anche le autorità saudite temessero di essere coinvolte in possibili contestazioni era emerso già lo scorso 11 marzo, quando un appello lanciato via facebook per una “giornata della collera” contro il regime, non aveva raccolto grandi adesioni, anche perché le forze di sicurezza si erano schierate subito in modo massiccio in varie località del Paese. Proteste poi si sono verificate poi ad opera di piccoli gruppi di sciiti. Ma la tempesta, evidentemente, comincia ad annunciarsi all’orizzonte, se anche le guide religiose lanciano allarmi e minacce.

Sta di fatto che ormai,  ad entrare in gioco, è anche la concezione della religione e il suo rapporto con le istituzioni. Sotto questo profilo qualcosa di significativo è già accaduto in Egitto dove il governo, proprio in questi giorni, ha approvato una legge con la quale si vieta la formazione di nuovi partiti politici costituiti su base religiosa o etnico-geografica. Si tratta di una modifica della legislazione relativa all’organizzazione dei partiti politici risalente al 1977.

La riforma, che va nel senso di costruire una cittadinanza laica e slegata dall’appartenenza etnica, di clan e religiosa, non riguarda però il più importante gruppo musulmano dell’Egitto, i Fratelli musulmani che, in quanto movimento politico nazionale, troverà poi le forme adeguate per presentarsi alle prossime elezioni. Di fatto i “Fratelli” esprimono una concezione della vita sociale fortemente legata alla tradizione islamica, con aspetti confessionali – anche se sono molto attivi sul piano dell’assistenza sociale – e  per questo la loro affermazione era temuta in Occidente. E però proprio all’interno di questo gruppo si stanno producendo divisioni inedite. Hamed al-Dafrawy è infatti uno dei leader dell’ala riformista dell’organizzazione che ha annunciato la formazione di un nuovo partito non costruito su base religiosa e aperto anche ai cristiani copti, cioè alla grande minoranza cristiana. In questo quadro, pure, s’inscrivono le contestazioni allo sceicco Ahmed al-Tayyib, capo della prestigiosa università islamica di Al Azhar al Cairo, il più importante centro teologico sunnita. Lo sceicco,  nominato dal deposto presidente Hosni Mubarak, è il simbolo di una gestione del centro di studi legata al regime; anche in questo caso un movimento di giovani e di opinione pubblica chiede che l’università abbandoni le pratiche di corruzione e riconquisti l’antica autonomia.

* Questo articolo è apparso, con qualche modifica, sul Secolo XIX


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