di Bruna Iacopino
“Vogliamo ricordare che le operazioni militari della NATO in Libia si basano sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1973 del 26 Febbraio 2011 che ha lo scopo di evitare la perdita di vite di civili. Il nostro appello va esattamente in questa direzione, ma non richiede alcuna operazione militare.” Si chiude così il testo dell'appello lanciato in data odierna da un gruppo di ONG italiane ( ACLI, ARCI, ASGI, FCEI, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Senza Confine, membri del Tavolo Nazionale Asilo coordinato dall’UNHCR) all’Unione Europea e agli Stati membri. Il riferimento è alle migliaia di rifugiati provenienti dall’Africa Sub-Sahariana, in particolare dal Corno d’Africa che si trovano ancora intrappolati in Libia senza la possibilità di scappare vista la mancata attuazione di un corridoio umanitario che ne consenta la fuga, come fatto in precedenza con i lavoratori stranieri presenti nel paese. Una situazione che assume contorni drammatici anche alla luce degli ultimi gravi incidenti avvenuti in mare ( non ultimo quello costato la vita a 250 persone nei pressi di Lampedusa), che rimane ad oggi, sottolineano le ONG nell'appello in questione, l'unica via di fuga valida, vista appunto la delicata situazione e l'impossibilità da parte della Tunisia che ha già accolto migliaia di profughi ( stando ai dati ONU 10.000 solo negli ultimi 10 giorni) di riuscire ad assorbirne ancora, soprattutto garantendo adeguata protezione a coloro che nella maggior parte dei casi hanno i requisiti di richiedenti asilo.
I firmatari dell'appello si rivolgono dunque al Presidente del Consiglio Europeo Herman Achille Van Rompuy, al Presidente del Parlmaneto Europeo Jerzy Buzek, al Vicepresidente della Commissione Europea Catherine Ashton, al Commissario per gli Affari Interni Cecilia Malmström, al Ministro degli Esteri Franco Frattini, al Ministro dell’Interno Roberto Maroni, affinché si provveda all'immediata evacuazione a scopi umanitari delle persone ancora intrappolate in Libia ( meno di 10.000 secondo le ONG firmatarie, per quanto sulle cifre i margini di incertezza siano ampi ) e le stesse vengano collocate al sicuro presso i paesi europei, onde evitare il ripetersi di nuove tragedie del mare.
In seguito al grave incidente verificatosi agli inizi del mese era stato lo stesso UNHCR a sollecitare un intervento in tal senso. “E’ difficile comprendere come, in un momento in cui decine di migliaia di persone fuggono dal conflitto in Libia attraversando le frontiere terrestri con Tunisia ed Egitto - dove trovano sicurezza e ricevono accoglienza e aiuti - la protezione di chi fugge dalla Libia via mare non sembra avere la stessa priorità” aveva affermato Erika Feller, Assistant High Commissioner for Protection dell’UNHCR. Era l'8 aprile e l' Alto commissariato Onu per i rifugiati non celava un certo disappunto per i precedenti appelli inviati all'indirizzo dell'UE e rimasti pressoché ignorati.
Così come rimangono senza risposte le accuse lanciate all'indirizzo delle navi NATO presenti in quel tratto di mare ma impassibili di fronte a queste tragedie, come testimoniato a più riprese da Don Mussie Zerai, tra i primi a far appello all'evacuazione umanitaria come unica soluzione.
Ed è lo stesso Don Zerai a lanciare un nuovo allarme attraverso le pagine del Redattore sociale: “...un gruppo di 250 profughi eritrei, etiopi e sudanesi fuggiti da Bengasi verso l'Egitto rischiano di essere rimpatriati con la forza nei Paesi d'origine se entro venerdì non lasceranno il campo provvisorio in cui ora si trovano.”