di Stefano Corradino*
Non ho visto tutte le edizioni dei telegiornali pubblici e privati del 26 aprile, venticinquesimo anniversario della strage di Chernobyl. Nè i programmi del mattino e del pomeriggio, perennemente a caccia di lacrime facili. Temo però che, fatta eccezione per qualche costernato ricordo, il più grave incidente nucleare della storia abbia avuto scarso rilievo.
Eppure, a distanza di 25 anni, la situazione è tutt’altro che superata. Luigi Pelazza, uno degli inviati delle “Iene”, vero esempio di servizio pubblico, si è recato a Chernobyl: con un contatore geiger in mano ha misurato la radioattività attuale scoprendo che i valori sono 1500 volte superiori del normale e con una telecamera in spalla ha immortalato le conseguenze: decine di bambini, figli di genitori che erano rimasti esposti alle radiazioni, sono affetti da tumori e lucemie. Qualcuno è in lista d’attesa per l’amputazione di un arto, qualcun altro attende solo la fine. Ancora oggi, spiega la segreteria nazionale di Legambiente, 7 milioni di persone vivono nelle zone più contaminate in Bielorussia, Russia e Ucraina, e sono costrette tutti i giorni a nutrirsi con cibo fortemente radioattivo.
Perchè queste informazioni non sono state date nei contenitori di grande ascolto? La risposta è presto detta, anche quando non è esplicita: per “par condicio”. La par condicio è quella legge che, com’è giusto che sia, ripartisce gli spazi tv in parti uguali tra tutti i soggetti che si presentano al voto, non tenendo conto della rappresentatività politica (legge che per ovvie ragioni Silvio Berlusconi ha cercato di far naufragare…) La sua applicazione, tuttavia è stata via via più discutibile e la par condicio è stata utilizzata strumentalmente per cancellare non solo le voci ma anche i temi sgraditi.
Pertanto, se a meno di due mesi dal referendum sul nucleare io scelgo di informare i cittadini sugli effetti devastanti di una centrale atomica che continua a mietere vittime e a produrre feti malformati, subito dopo, per par condicio, dovrei mostrare le immagini di una Chernobyl pulita in qualche parte del mondo che emana aromi nobili e benefici per la salute. Il risultato è un sillogismo ineccepibile: dal momento che non siamo in grado di provare la seconda notizia non diamo neanche la prima..
Questo è solo uno dei tanti espedienti utilizzati, dal governo e affini, per far capitolare il referendum ed impedire il raggiungimento del quorum. Ed è in questo contesto che la mobilitazione contro l’oscuramento diventa una battaglia cruciale. Ad oggi, secondo i sondaggi appena il 30 per cento dei cittadini sa che il 12 e il 13 giugno si andrà a votare sul nucleare, sull’acqua e sul legittimo impedimento. In attesa di un sussulto di coscienza dei media sarà opportuno che ciascuno di noi spieghi ad almeno tre persone che, quel giorno, si può serenamente saltare una invitante giornata di mare per riappropriarsi del diritto di determinare il proprio destino.
* Pubblicato su Blitz Quotidiano
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