di redazione
Il 28 giugno 1975, 35 anni fa. 200 familiari di giovani tossicodipendenti, cominciarono uno sciopero della fame che di lì a poco avrebbe prodotto dei risultati. Sotto una tenda, in piazza Solferino a Torino. La droga, in particolare l’eroina devastava le nuove generazioni. In vigore c’era una legge che definiva il tossicodipendente perseguibile a livello penale. Quello sciopero della fame mosse le coscienze della politica. Il 22 dicembre dello stesso anno la tossicodipendenza venne, per legge, definito un problema sociale e sanitario. Trentacinque anni che aprono una riflessione, quella che il gruppo Abele, per due giorni, ha aperto a Torino.
Dopo trentacinque anni i problemi sono diversi. Le strutture sociali, pubbliche e private, sono alle prese con un taglio del fondo sociale che dal 2008 ad oggi è passato da 2 miliardi e mezzo di euro a 370 milioni di euro. Questo proprio quando le tossicodipendenze e le dipendenze aumentano. Dipendenza da droga di ogni tipo, da alcol, dipendenza dal gioco d’azzardo e da internet. Un mondo completamente cambiato che merita più attenzione. Ed una piaga, quella del narcotraffico, che è diventata globale. Se da una parte c’è globalizzazione dei mercati della droga, non esiste una risposta adatta in termini di contrasto al narcotraffico. Ogni Paese quel poco che fa lo fa da sé. Mentre le strutture criminali che vivono di traffico di droga occupano i Paesi di tutto il mondo. La stessa Europa fa poco.
E nella discussione di Torino questo è uno dei dati che emerge. “L’unico modo per attaccare le mafie del narcotraffico – dicono all’unisono Don Ciotti e Francesco Forgiane – è quello di colpirle nelle loro economie”. Ma da questo punto di vista l’Europa è in grande ritardo. Eppure basterebbe che le misure disposte in Italia per confiscare i beni alle mafie, divenissero norma europea. E un maggiore investimento economico dell’Europa nei mezzi di contrasto: nelle forze di polizia, nei progetti comuni di contrasto, in leggi europee.
“Non siamo qui per ricordare o celebrare quella lotta: non è nel nostro stile. – dice Don Luigi Ciotti - Ma per riflettere, per guardare avanti, per mettere a fuoco le contraddizioni irrisolte. Una "due giorni" per studiare e costruire strumenti più adeguati a raggiungere altri volti e storie, bisogni che si esprimono con linguaggi spesso tutti da decifrare. In quella prossimità alle persone a cui, nei nostri limiti, abbiamo sempre cercato di restare fedeli”.
Da quel giugno del 1975 ad oggi come è cambiato il mondo della diffusione e le tipologie di dipendenza?
“Alla diffusione della cocaina, delle droghe "da prestazione" e al ritorno silenzioso dell'eroina - silenzio su cui grava anche un peccato d'informazione - si affiancano forme di dipendenza più sottili ma non meno dannose. Sono le dipendenze di chi non riesce a trovare un senso alla propria vita, di chi si sente isolato, fragile nel rapporto con se stesso e con gli altri, e cerca di sfuggire come può al proprio malessere. Ecco allora il triplicarsi in questi ultimi anni dell'uso degli psicofarmaci e degli antidepressivi, l'approccio sempre più precoce all'alcol come veicolo di stordimento, il diffondersi dell'anoressia e della bulimia, disturbi alimentari che nascondono disturbi di relazione col proprio corpo e con un'immagine di sé che i modelli consumistici vorrebbero ingabbiare in un'esteriorità superficiale e anonima. Ecco il sempre maggior ricorso ai giochi d'azzardo, alle scommesse, alle lotterie. Una sorta di "tassa sulla povertà", visto che a giocare sono soprattutto persone di basso reddito, con un'ampiezza d'offerta tale - nei bar, nelle tabaccherie, su internet - da favorire gli abusi, la perdita del controllo, le forme di dipendenza.
Che significa affrontare oggi questa riflessione?
Parlare di dipendenze significa infatti parlare della solitudine e della fragilità di tante persone, della debolezza dei legami sociali e del contatto umano - che la crescita del mondo "virtuale" non può sostituire - di un individualismo sempre più intrecciato all'insofferenza per le regole della democrazia, vera minaccia alle basi sociali ed etiche della nostra convivenza. Significa porre l'attenzione sul deficit educativo e culturale, perché dietro le dipendenze c'è spesso un vuoto di relazione, di riferimenti, di conoscenza. Ma significa anche denunciare la riduzione e in certi casi l'azzeramento delle politiche sociali, e la ricaduta sulle persone in difficoltà come su chi opera nei servizi.
35 anni fa si era di fronte ad una legge che puniva i tossicodipendenti a livello penale. Oggi c’è una sorta di riconsegna al penale di alcuni disagi sociali…
Si torna alla conversione del "sociale" nel "penale". Quella lotta per la dignità delle persone tossicodipendenti, 35 anni fa, cui seguirono altre grandi svolte come quella frutto delle intuizioni di Franco Basaglia, con l'apertura dei manicomi e il riconoscimento della dignità di chi vi era rinchiuso, hanno visto negli ultimi anni grandi arretramenti dal punto di vista politico, legislativo e culturale. E a fronte delle attuali disuguaglianze sociali ed economiche, quell'idea di società inclusiva, capace di riconoscere a tutti il diritto di avere un nome, di essere persone indipendenti e responsabili, appare più che mai bisognosa di essere sostenuta da un impegno collettivo. Che sia questo impegno la base della democrazia lo dice del resto la nostra Costituzione. Una carta che oggi troppi vorrebbero cambiare per palesi interessi di parte, e che resta invece il testo più prezioso per condurci a una società più libera dalle ingiustizie, dall'illegalità, e dalle tante forme di emarginazione e dipendenza che ne possono derivare.
Ed è Don Ciotti a tirare le conclusioni della due giorni. “Dobbiamo tornare a farci sentire, dobbiamo farci sentire e farci capire anche fuori dai nostri contesti, usare linguaggi accessibili ai "non addetti ai lavori", come non sempre siamo stati capaci di fare in passato”. Un'esigenza di comunicare tanto più forte perché, accanto alle forme "tradizionali" di dipendenza, la società fa oggi i conti con altre e più pericolose "droghe": “La droga di una politica troppo spesso ostaggio dei privilegi dei singoli o di casta. La droga di un'economia che mortifica e spolpa i servizi sociali. La droga di un'informazione che, senza voler generalizzare, in molti casi non informa ma deforma, distrae, nasconde”.
E ancora “La droga del lavoro senza sicurezza e diritti. La droga di una cultura che riduce tutto al metro del successo, della ricchezza e dei soldi. La droga della disuguaglianza accettata come una fatalità. La droga delle illusioni vendute come speranze”. Ma soprattutto, sottolinea don Ciotti, quella droga che ci impedisce di ribellarci e combattere tutte le altre: “la droga dell'indifferenza, dell'assuefazione, della rassegnazione”.
Contro queste "nuove droghe", e contro “la trasformazione delle questioni sociali in problemi penali, in temi di ordine pubblico”, don Luigi chiama gli operatori dei servizi sociali – “pubblici e privati, senza differenze, perché tutti noi svolgiamo un servizio pubblico” - a scendere di nuovo nelle piazze e nelle strade, «che sono sempre state per noi il luogo di incontro con i bisogni e le fragilità delle persone, ma anche la nostra università, il nostro primo luogo di formazione». In quelle strade infatti “c'è una grande voglia di cambiamento, una grande rabbia positiva e propositiva che chiede solo di essere raccolta, di trovare progetto e parole credibili”.
“Oggi siamo qui - conclude allora don Ciotti richiamando la mobilitazione del Gruppo Abele che stimolò la nascita delle legge 685 - per ricordare e ricordarci, a 35 anni di distanza da quel digiuno, che la nostra fame di giustizia sociale, di dignità, di verità è ancora in gran parte da saziare”.
E come dice Don Ciotti, ricordando Sant’Agostino, la speranza ha due bei figli: la rabbia ed il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose, il coraggio di vedere come potrebbero andare. Dobbiamo animare la speranza di rabbia e di coraggio. Il sentimento dell'ingiustizia per ciò che vediamo deve tradursi in un fare di più e di meglio, in una maggiore responsabilità e corresponsabilità.