Articolo 21 - INTERNI
Le contraddizioni della riforma forense, l’imbarazzo dei suoi sostenitori e la schizofrenia del Governo
di Julian G. Colabello*
Qual è stato l’obbiettivo dichiarato della riforma forense fin dalla sua nascita? Quello di diminuire il numero degli Avvocati in Italia. Come si è pensato di farlo? Rendendo l’accesso molto più duro, economicamente insostenibile ai più e vagliando con criteri di censo chi Avvocato lo è già. Notizia di questi giorni è che però il Governo, quell’insieme di galantuomini che tanto aveva fatto per approvare la riforma forense, se ne esce con questa idea di applicare la disciplina dell’apprendistato in modo esteso, ricomprendendo anche i praticanti. Per essere più chiari, il Governo vuole riconoscere i diritti minimi ai praticanti, sia assicurativi che previdenziali, e, udite udite, anche il diritto ad una retribuzione. Come farlo? Con un contratto di apprendistato appunto, di quelli vecchio stile, con le eventuali modifiche del caso per le varie applicazioni. Insomma, un contratto di Praticantato. Meglio tardi che mai verrebbe da dire, visto che sono ormai quasi quattro anni che gli studenti, i praticanti e l’Associazione VI Piano in prima fila chiedono che sia applicato un contratto di siffatto genere a tutela dei praticanti. Non solo, si parla di trasferire una parte del praticantato nel percorso universitario, concretamente e non tramite una generica previsione di collaborazione tra Università e Ordini, come invece fa l’attuale riforma forense in discussione alla Camera. Esattamente quello che veniva proposto più di un anno fa sempre da quei riottosi degli studenti e praticanti durante un incontro nell’ambito della campagna elettorale per il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari.
Non sappiamo se il lavoro fatto da noi e da altri in questi anni sia stato di ispirazione per il Ministro Sacconi, ma certo, qualsiasi sia l’origine, ora nessuno potrà dire che questa idea sia venuta in mente a un Governo di biechi sinistroidi, o peggio ancora ad un gruppo di praticanti e giovani Avvocati scansa fatiche. Checchè se ne dica, il praticante e lo stesso giovane Avvocato che lavora esclusivamente per il proprio studio, in monocommitenza ovvero senza propri clienti, non è un libero professionista ma è un dipendente, nel senso più semplice della parola, ovvero dipende dal profitto e dalle decisioni di altri e per questo semplice motivo deve essere tutelato.
Se anche un Sacconi ha ritenuto di intervenire evidentemente è perchè la situazione attuale, che non fa distinzione e lascia tutto al libero arbitrio di piccoli e grandi potentati senza scrupoli, è insostenibile e non c’è bisogno di essere di parte per accorgersene.
Se da una parte dalle parole bisognerà passare ai fatti, e temiamo che con questo Governo non sarà facile, dall’altra troviamo invece l’imbarazzo di chi fino ad oggi ha fatto fuoco e fiamme per l’approvazione della riforma forense palesemente disinteressandosi dell’opinione degli studenti e dei praticanti.
L’imbarazzo viene dal fatto che il sostegno politico fondamentale per questa operazione di falcidia generazionale (sbarriamo l’ingresso ai più giovani, e chi già c’è ne beneficerà) era proprio quello del Governo, nella persona del Ministro Alfano. Ora, se il Governo mette in campo una politica di siffatto genere, anche solo a livello di annuncio, la gerontocrazia dell’Avvocatura e i “giovani Avvocati” che alla causa gerontocratica si erano già venduti da tempo si trovano ovviamente spiazzati. Ma come, si era deciso di massacrare gli aspiranti Avvocati per farli desistere in massa e ora li vogliamo anche pagare? Deve essere dura da gestire in effetti. Non a caso in questi giorni sono uscite numerose agenzie di stampa da parte di grandi e piccoli esponenti delle professioni e dell’Avvocatura che, in evidente imbarazzo, prendevano con le pinze la proposta Sacconi perchè, si dice, non si sono ancora discusse nel merito le singole applicazioni, oppure, perché il tema della regolamentazione del praticantato è stato soltanto accennato.
Invece sembra evidente che il tema è stato centrato in pieno, ovvero non si può ammettere che i praticanti in Italia, visto proprio il loro numero esponenziale, possano essere impiegati dagli studi senza uno straccio di regolamentazione e tutela. D’altronde, se il praticantato fosse minimamente regolato e tutelato questo solo basterebbe a limitare di fatto quella che è la vera piaga dell’attuale percorso di formazione forense (e non solo forense), ovvero il cosìdetto praticantato fittizio: migliaia di praticanti che presenziano soltanto alle udienze con il beneplacito dei dominus, senza svolgere nessuna ulteriore attività formativa nello studio (ricerca, gestione dei clienti, redazione di atti), a differenza di altrettante migliaia di loro sfortunati colleghi.
Inutile tra l’altro, come hanno tentato in molti, ripararsi dietro quella norma della riforma forense che prevede il diritto ad “un equo compenso” per il praticante. Perchè quel diritto non è un diritto alla retribuzione ma alla magnanima elargizione da parte del dominus; perché quella stessa norma nega che il praticantato sia un rapporto di lavoro (mentre l’apprendistato lo è in pieno); e sopratutto perché prevede che questo “equo compenso” venga riconosciuto solo dopo un anno di pratica, lasciando intendere che per il primo anno, dico un anno, il povero praticante, per legge, non è tenuto a percepire alcunchè per il proprio sostentamento personale. Una visione vergognosa dei rapporti umani e professionali, emblema di un’abitudine all’ingiustizia ormai diffusa in Italia, che si pretenderebbe addirittura di statuire per legge.
Purtroppo invece il contratto di apprendistato non permette di non retribuire l’apprendista, o il praticante in questo caso. Neppure per un giorno, cari promotori della riforma. Sarà meglio che vi sbrighiate a convincere Sacconi a cambiare idea perché altrimenti potreste ritrovarvi il Governo contro, o che comunque lavora in senso opposto al vostro. Sareste abbandonati anche dal Governo, dopo il voto contrario delle opposizioni, le manifestazioni in piazza, i dubbi, i dibattiti e l’incessante richiesta di tutelare anche chi in questa giungla, che è il mercato delle professioni oggi in Italia, è più debole. Istanze che fino ad oggi avevate sistematicamente ignorato.
A restar soli non si guadagna mai, ma alcune volte può essere utile per riflettere e prendersi le proprie responsabilità. L’augurio è sempre che questa Riforma non passi e si possa lavorare su di un nuovo testo, ripartendo dalle basi, con molto più buon senso e molta meno arroganza nel pensare che si possa perpetuare l’ingiustizia senza pagarne il prezzo.
*Ass. VI Piano, Praticanti e Giovani Avvocati
http://associazioneh2.wordpress.com
Non sappiamo se il lavoro fatto da noi e da altri in questi anni sia stato di ispirazione per il Ministro Sacconi, ma certo, qualsiasi sia l’origine, ora nessuno potrà dire che questa idea sia venuta in mente a un Governo di biechi sinistroidi, o peggio ancora ad un gruppo di praticanti e giovani Avvocati scansa fatiche. Checchè se ne dica, il praticante e lo stesso giovane Avvocato che lavora esclusivamente per il proprio studio, in monocommitenza ovvero senza propri clienti, non è un libero professionista ma è un dipendente, nel senso più semplice della parola, ovvero dipende dal profitto e dalle decisioni di altri e per questo semplice motivo deve essere tutelato.
Se anche un Sacconi ha ritenuto di intervenire evidentemente è perchè la situazione attuale, che non fa distinzione e lascia tutto al libero arbitrio di piccoli e grandi potentati senza scrupoli, è insostenibile e non c’è bisogno di essere di parte per accorgersene.
Se da una parte dalle parole bisognerà passare ai fatti, e temiamo che con questo Governo non sarà facile, dall’altra troviamo invece l’imbarazzo di chi fino ad oggi ha fatto fuoco e fiamme per l’approvazione della riforma forense palesemente disinteressandosi dell’opinione degli studenti e dei praticanti.
L’imbarazzo viene dal fatto che il sostegno politico fondamentale per questa operazione di falcidia generazionale (sbarriamo l’ingresso ai più giovani, e chi già c’è ne beneficerà) era proprio quello del Governo, nella persona del Ministro Alfano. Ora, se il Governo mette in campo una politica di siffatto genere, anche solo a livello di annuncio, la gerontocrazia dell’Avvocatura e i “giovani Avvocati” che alla causa gerontocratica si erano già venduti da tempo si trovano ovviamente spiazzati. Ma come, si era deciso di massacrare gli aspiranti Avvocati per farli desistere in massa e ora li vogliamo anche pagare? Deve essere dura da gestire in effetti. Non a caso in questi giorni sono uscite numerose agenzie di stampa da parte di grandi e piccoli esponenti delle professioni e dell’Avvocatura che, in evidente imbarazzo, prendevano con le pinze la proposta Sacconi perchè, si dice, non si sono ancora discusse nel merito le singole applicazioni, oppure, perché il tema della regolamentazione del praticantato è stato soltanto accennato.
Invece sembra evidente che il tema è stato centrato in pieno, ovvero non si può ammettere che i praticanti in Italia, visto proprio il loro numero esponenziale, possano essere impiegati dagli studi senza uno straccio di regolamentazione e tutela. D’altronde, se il praticantato fosse minimamente regolato e tutelato questo solo basterebbe a limitare di fatto quella che è la vera piaga dell’attuale percorso di formazione forense (e non solo forense), ovvero il cosìdetto praticantato fittizio: migliaia di praticanti che presenziano soltanto alle udienze con il beneplacito dei dominus, senza svolgere nessuna ulteriore attività formativa nello studio (ricerca, gestione dei clienti, redazione di atti), a differenza di altrettante migliaia di loro sfortunati colleghi.
Inutile tra l’altro, come hanno tentato in molti, ripararsi dietro quella norma della riforma forense che prevede il diritto ad “un equo compenso” per il praticante. Perchè quel diritto non è un diritto alla retribuzione ma alla magnanima elargizione da parte del dominus; perché quella stessa norma nega che il praticantato sia un rapporto di lavoro (mentre l’apprendistato lo è in pieno); e sopratutto perché prevede che questo “equo compenso” venga riconosciuto solo dopo un anno di pratica, lasciando intendere che per il primo anno, dico un anno, il povero praticante, per legge, non è tenuto a percepire alcunchè per il proprio sostentamento personale. Una visione vergognosa dei rapporti umani e professionali, emblema di un’abitudine all’ingiustizia ormai diffusa in Italia, che si pretenderebbe addirittura di statuire per legge.
Purtroppo invece il contratto di apprendistato non permette di non retribuire l’apprendista, o il praticante in questo caso. Neppure per un giorno, cari promotori della riforma. Sarà meglio che vi sbrighiate a convincere Sacconi a cambiare idea perché altrimenti potreste ritrovarvi il Governo contro, o che comunque lavora in senso opposto al vostro. Sareste abbandonati anche dal Governo, dopo il voto contrario delle opposizioni, le manifestazioni in piazza, i dubbi, i dibattiti e l’incessante richiesta di tutelare anche chi in questa giungla, che è il mercato delle professioni oggi in Italia, è più debole. Istanze che fino ad oggi avevate sistematicamente ignorato.
A restar soli non si guadagna mai, ma alcune volte può essere utile per riflettere e prendersi le proprie responsabilità. L’augurio è sempre che questa Riforma non passi e si possa lavorare su di un nuovo testo, ripartendo dalle basi, con molto più buon senso e molta meno arroganza nel pensare che si possa perpetuare l’ingiustizia senza pagarne il prezzo.
*Ass. VI Piano, Praticanti e Giovani Avvocati
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