di Nicola Tranfaglia
Ormai sulla strage di quarant’anni fa nella Banca nazionale dell’Agricoltura la memoria divisa dei revisionisti parla di un eccidio che non ha colpevoli e i berlusconiani di ieri e di oggi sono in prima linea. Due giorni fa, invitato dagli studenti di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano ho trovato due esponenti significativi di questo revisionismo di accatto. L’ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, ospite fisso nelle trasmissioni della Rai, (tra le quali “Ballarò” e la “Storia siamo noi”) e Roberto Chiarini che insegna in quella università, sono intervenuti per ribadire che non sappiamo ancora nulla, che bisogna esser prudenti perché al massimo sappiamo qualcosa del contesto storico ma ci mancano i nomi e i fatti.
Ma qui siamo di fronte a un oblio interessato e al desiderio di schierarsi con il vincitore di oggi a tutti i costi.
Eppure le cose non stanno così e i giovani presenti al dibattito potrebbero saperlo se continuassero a leggere non solo i giornali di questi giorni.
Non mi piace citarmi ancora una volta ma, dieci anni fa, scrissi un saggio uscito nella Storia dell’Italia repubblicana Einaudi in cui, sulla base di molte ricerche apparse nel decenni precedenti, ricordai alcuni punti essenziali che ha ricerca storica ha ormai accertato.
Ecco l’elenco di quei punti.
Il primo è che dal punto di vista giudiziario è ormai sicuro che la pista anarchica, seguita all’inizio dalla questura di Milano, e in particolare dall’ex fascista Marcello Guida, si rivelò inconsistente e si chiarì invece che erano stati i neonazisti di Ordine Nuovo, i nomi erano quelli di Freda e Ventura della cellula veneta, ad organizzare l’attentato.
E’ indubbio che a quell’attentato collaborarono i servizi segreti cosiddetti deviati e dico così che gli agenti Giannettini, Di Gilio e Miceli, erano implicati nell’organizzazione secondo un progetto che non a caso si chiamò di “strategia della tensione”.
Quali legami ebbe quella “deviazione” con parti della nostra classe politica di governo? E’ ragionevole pensare che i legami ci fossero visto che quella strategia si iscriveva
in un tentativo organico che durava da più di un decennio e forse ancora di più per contrastare con mezzi insieme legali e illegali l’avanzata elettorale e politica dei partiti della sinistra e in particolare del partito comunista che stava in quegli anni per avvicinarsi alla maggioranza con i primi passi che Berlinguer avrebbe sostenuto nei primi anni settanta di “compromesso storico”.
Ma molti dimenticano che fino al 1974, anno in cui avvenne, tra i due blocchi contrapposti, una svolta distensiva, i servizi segreti americani collaborarono con quelli italiani per respingere qualsiasi tentativo della sinistra italiana di arrivare al potere e un leader socialista come Pietro Nenni, già nel 1964, di fronte al “Piano Solo” di De Lorenzo aveva registrato nel suo Diario un pericoloso “tintinnar di sciabole”.
Insomma, alla fine di quegli anni sessanta, la guerra fredda bloccava il nostro sistema politico e i nostri servizi segreti, legati a quelli americani, collaboravano attivamente a creare attentati e tentativi di golpe a scopo intimidatorio per sventare qualsiasi avvicinamento dei comunisti e dei socialisti al potere. Ogni mezzo era buono per questo e si potevano ammazzare impunemente decine di vittime innocenti se questo serviva alla bisogna.
Di qui il risultato che dobbiamo ricordare oggi. Sono passati quarant’anni ma non c’è giustizia per chi è morto il 12 dicembre 2009 perché abbiamo avuto già allora e abbiamo tuttora una classe politica di governo inquinata che pratica un “sovversivismo” attivo che non si limita ad amministrare il paese ma interviene con atti illegali contro la popolazione innocente.
E’ questo il problema centrale dell’Italia repubblicana che spiega assai bene come abbiamo potuto precipitare anche dopo la fine della guerra fredda nel regime opaco di “populismo mediatico e autoritario” che ancora oggi ci governa.