di Domenico Gallo
L’approvazione del c.d. decreto omnibus col voto di fiducia della Camera del 24 maggio, conferma la determinazione della maggioranza di impedire lo svolgimento del referendum abrogativo contro l’istallazione in Italia di centrali nucleari, già fissato per il 12 e il 13 giugno. Infatti l’emendamento governativo, adesso trasformato in legge, anche se prevede l’abrogazione delle norme sottoposte a referendum, non comporta l’abbandono dell’opzione del ritorno al nucleare, ma si risolve in una semplice moratoria, come il Presidente del Consiglio ha avuto modo di chiarire in più occasioni.
Infatti l’emendamento governativo esprime, nel suo primo comma, la chiara volontà non già di abbandonare, come propongono i quesiti referendari, bensì di sospendere la “definizione ed attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare”, in attesa e “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare”. Tale volontà è confermata dal comma 8^ dell’emendamento, che prevede che “entro dodici mesi dall’entrata in vigore” della legge sarà adottato un piano energetico nazionale che non esclude affatto, ma implicitamente include l’opzione nucleare, in evidente contrasto con la proposta referendaria.
E’ evidente, pertanto, che l’abrogazione delle norme colpite dal referendum ha la natura di un mero espediente, un escamotage per impedire che la strategia energetica basata sul nucleare sia delegittimata attraverso il voto popolare degli italiani chiamati al referendum. Nello stesso tempo la prevista cancellazione del referendum sul nucleare può essere un utile strumento per abbattere la motivazione al voto degli elettori e determinare il fallimento degli altre tre referendum.
Non è scontato, però, questo tentativo di furto di democrazia abbia successo.
Quando una normativa oggetto di referendum viene abrogata e sostituita da una nuova disciplina che contraddice gli scopi che si sono riproposti coloro che hanno proposto il referendum, il referendum deve tenersi lo stesso.
Fu proprio con riferimento a una ipotesi simile che la Corte Costituzionale, con la sentenza n.69 del 1978, decise che, qualora una nuova disciplina legislativa, pur abrogando “le singole disposizioni cui si riferisce il referendum”, non ne modifichi “i principi ispiratori” e “i contenuti normativi essenziali”, allora “il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative”.
Lo scippo, pertanto, non si è ancora consumato: l’ultima parola spetterà alla Cassazione.
L’Ufficio per il referendum presso la Corte di Cassazione , ove accertasse l’esistenza di un evidente contrasto tra i principi ispiratori dell’emendamento approvato e l’intento dei proponenti del referendum, dovrebbe trasferire il quesito referendario sul primo e sull’ottavo comma di tale emendamento, così consentendo agli elettori, attraverso il referendum, di sanzionare la pervicace volontà di questo Governo di non abbandonare il programma nucleare. E adesso l'Agcom rompa anche il silenzio tv sui referendum - di Massimo Marnetto / Referendum: intervento alla Camera di Giuseppe Giulietti