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Articolo 21 - ESTERI
Da Trichet agli indignados
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di Tonino Dorazio

Da Trichet agli indignados Trichet, presidente della BCE, continua a sottolineare una ripresa dell’occupazione in atto nell’insieme dell’Eurozona, ma che comunque la situazione è ancora molto critica, nonostante le misure prese per rafforzare le banche e il sistema finanziario. «Per rafforzare la crescita e aumentare i livelli di occupazione bisogna andare avanti con il risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali. E questo, comunque, vale per tutti i Paesi, senza eccezione».

Insomma continuare le privatizzazioni, le cartolarizzazioni, abbattere sempre più il sistema sociale europeo. Intanto l’aumento del tasso di interesse di un quarto di punto  si traduce in termini bancari reali nel 2%. Secondo il Codacons «produrrà una stangata per le famiglie italiane con un mutuo a tasso variabile, mediamente pari a 204 euro all’anno, pari 17 euro al mese e metterà in difficoltà con il pagamento delle rate almeno 30.000 famiglie ». La colpa è dei governi europei che non hanno preso misure antinflazionistiche di politica fiscale, demandando alla sola politica monetaria il controllo dei prezzi.

Niente da fare. Il presidente dell’Ecofin, il ministro ungherese Matolcsy Gyorgy  insiste affinché  tutti gli Stati membri debbano proseguire con le riforme strutturali per eliminare gli squilibri macroeconomici e per creare crescita e occupazione. Dopo dieci anni di questa tiritera, con i risultati che abbiamo davanti agli occhi, della perdita dei posti di lavoro e della disoccupazione in aumento in Europa, la presa in giro va avanti.

Non poteva mancare la Bce, che anche dopo il rialzo dei tassi d’interesse, indica che la politica monetaria continua «a sostenere in misura considerevole l’attività economica e la creazione di posti di lavoro».

Eppure l’esempio della Grecia, dopo quello oscurato della Lituania, è davanti agli occhi di tutti. Standard and Poor’s ha deciso di tagliare il rating sovrano sul debito a lungo termine della Grecia da ‘BB-’ a ‘B’e lo lascia in Creditwatch negativo. Il rating, che era già sceso a livello spazzatura, viene ulteriormente ribassato per il timore di una ristrutturazione del debito, come la Bce sta prevedendo. Standard & Poor’s si dice addirittura contraria alle nuove agevolazioni che la commissione europea sta valutando per la Grecia. Quando si dice che l’affondo della moneta europea proviene proprio da strutture americane di rating (che non sono nelle migliori condizioni morali per dare lezioni) che alla fine aiutano la speculazione internazionale e l’attacco ai paesi in difficoltà, sembra rivelare un segreto di stato. Malgrado in Grecia abbiano tagliato tutto, dagli stipendi, alla scuola, alla sanità, insomma alla civiltà di un paese. E come d’abitudine nella storia recente sono operazioni che fanno fare alla sinistra europea. Ecco perché si può considerare che l’oligarchia finanziaria mondiale sia nascosta, ma non troppo, in S&P’s e rappresenti sempre un “giudizio politico” e un riaffermare il pensiero unico neoliberista nello sfruttamento e nell’accumulazione della ricchezza per i propri “investitori”.

Un altro esempio. La scorsa settimana l’emissione di titoli “europei” destinati a finanziare il supporto al governo portoghese è stato un successo. Questa collocazione, per € 4,75 miliardi di titoli decennali, ha ricevuto una domanda talmente elevata che l’offerta è stata assorbita in meno di due ore. Un segnale molto forte di fiducia nell’emittente “Europa”, ma un segnale che non ha ricevuto la stessa attenzione che ricevono le cosiddette “agenzie di rating” e i loro attacchi sistematici all’euro e alla sua solidità.

Ma anche se la Grecia abbandonasse l’euro, opzione sempre più “ventilata” e colpo mortale per una Unione fondata solo sul denaro e sull’autonomia delle banche, che purtroppo abbiamo visto all’opera in questi anni di crisi, non riuscirebbe più a ricostruire un tessuto sociale di natura progressista. Le distruzioni dello stato sociale, vanto storico delle conquiste in quest’area del mondo, sembrano strutturali e non recuperabili. La distruzione è semplice e scientifica.

Tutti avevano capito che la Grecia non sarebbe stata in grado di evitare la ristrutturazione del proprio debito pubblico, e la cura da cavallo, fatta solo di tagli, di privatizzazioni ecc.., politica con la quale il Fmi ha tenuto sotto scacco quasi tutti i paesi del mondo, lasciano pensare che il default sia solo una questione di tempo. Si capiva che il meccanismo, utilizzato anche per Irlanda e Portogallo, di ristrutturazione del debito in tempi brevi, gli “investitori” devono rientrare presto in possesso del capitale e degli interessi, non avrebbe portato a nulla se non ad affossarli ulteriormente, tenerli sotto scacco e ridurre, obiettivo politico generale del pensiero unico, qualsiasi possibilità di vita del loro welfare. Si tratta di rimborsare costi insostenibili poiché i titoli di Stato greci, i tassi a due anni, sono saliti oltre il 20%, quelli a dieci hanno raggiunto il 14,65%. Il piano di risanamento concordato con Ue e Fmi prevede che la Grecia, a partire dal 2012, torni a raccogliere denaro con l’emissione di obbligazioni di stato, ma con questi tassi l’obiettivo e’ praticamente impossibile. A quanto dovrebbe salire il Pil annuale della Grecia solo per rimborsare? E se si riduce e si taglia la produzione, unica a produrre ricchezza, con che si rimborsa ? Non ci voleva molto per capire che la Grecia andava aiutata con prestiti a tassi che fossero almeno pari – molto meglio se inferiori – a quelli medi praticati nell’Eurozona. Invece si è fatto il contrario, visto che le banche, quelle tedesche in testa, sulle disgrazie greche volevano a tutti i costi guadagnarci. E’ una Europa della competizione ragazzi, non della solidarietà!

Infatti il presidente europeo Van Rompuy dice: “Faremo di tutto per evitare il fallimento della Grecia. Priorità è la stabilità finanziaria dell’eurozona”, a condizione però che il governo di Atene prenda “tutte le misure e faccia tutte le riforme necessarie per rispettare gli obiettivi di bilancio”. E cioè ? Fin dove si può impoverire una popolazione già così mal ridotta? Entro l’estate taglio di 200 mila posti di lavoro nel settore pubblico, più due ore settimanali in più per quelli che rimangono.

Infatti vengono di nuovo prestati 60 miliardi di euro, ma con lo stesso errore di fondo.

“La troika”, cioè la combinazione di istituzioni internazionali – il Fondo Monetario Internazionale, sovranazionali – la Banca Centrale Europea, e di quell’organo esecutivo prigioniero di ventisette governi nazionali europei – la Commissione U.E. La settimana scorsa esse hanno inasprito la propria posizione, hanno messo in dubbio il processo di privatizzazione lanciato dal governo greco e la sua competenza a gestirne il processo. Queste istituzioni hanno la responsabilità di aver lanciato l’economia greca in una recessione violenta, dalla quale il paese non potrà riprendersi se lasciato a se stesso. La logica che viene usata nell’affrontare la crisi “greca” è ridicola, se la situazione non fosse drammatica. E’ difficile capire che ci vuole un piano di investimenti produttivi nei paesi in difficoltà, così come è già stato fatto per la Germania dell’Est e per altri paesi ex sovietici ? O fare come i tanto decantati Stati Uniti la cui banca centrale ha comperato ogni sorta di titoli tossici per salvare il proprio sistema bancario e la sua economia produttiva?

La “terapia” attuale non ha il consenso delle organizzazioni sindacali. Definiscono, in un congresso di metà maggio della Confederazione Europea dei Sindacati proprio a Atene,  un “errore la terapia shock imposta dal Fondo monetario internazionale. La medicina è peggio della malattia”. La recessione “si cura solo con lo sviluppo e con la redistribuzione della ricchezza”, affermano e assicurano che la protesta non si ferma. “Noi resisteremo e lotteremo tutti insieme contro questo ritorno al Medioevo che ci viene imposto”.

La protesta degli “indignados” non è più “un’esclusiva” spagnola. A piazza Syntagma, ad Atene, davanti al Parlamento greco, migliaia di persone, soprattutto giovani, presidiano la piazza. Proteste simili, inspirate e costruite attraverso i social network, si registrano anche in altri centri della Grecia.
Non c’è un vero tema centrale nella protesta degli indignati greci e non c’è un’organizzazione tradizionale, partito o sindacato, alla base del movimento. Forse non si fidano. Ma la rabbia e l’indignazione delle giovani e dei giovani ellenici sono rivolte soprattutto contro le misure di austerità sempre più pesanti e, come accade anche in Spagna e in Portogallo, contro la classe politica.

Il dilemma politico viene posto proprio dall’esponente del Pasok attualmente al governo, la commissaria europea alla pesca Maria Damanaki, che o si trova un accordo con i creditori in modo che il programma di duri sacrifici abbia effetto e risultati o si torna alla dracma. Possibilità sostenuta al 50% da Paul Krugman, economista premio Nobel. Sarebbe la fine del famoso Trattato di Lisbona, quello accettato “senza possibile alternativa” sul libero mercato invece che sull’unità politica dei popoli dell’Europa. Come dire che la politica riprenda il sopravvento, se può. Avremmo molto da perdere o da continuare a “guadagnarci” ?

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