di Roberto Natale*
E’ stata la t-shirt più invidiata e richiesta, all’assemblea annuale della Federazione Europea dei Giornalisti (Efj) che si è svolta a Belgrado: “journalism is a public good”. E’ una campagna del sindacato britannico, ma parla un linguaggio che tutta Europa sente suo: l’informazione come bene pubblico, come bene comune. E’ un’espressione che suona più familiare anche per noi, ora che i referendum hanno detto con bellissima nettezza quale sia la considerazione della quale godono i beni comuni tra i cittadini italiani. Acqua, energia, giustizia erano i temi specifici in questione. Ma i Sì hanno dato la spinta ad una diversa considerazione del rapporto pubblico-privato anche per altre “materie prime” della democrazia: tanto più quando emergono le trame delle logge (vedi gli scandalosi rapporti tra Bisignani e alti dirigenti Rai) per chiudere i rubinetti dai quali - come sempre ricordava Enzo Biagi - dovrebbe uscire l’acqua dell’informazione.
Nel meeting europeo le preoccupazioni per i rischi che corre il pluralismo informativo, specie con gli attacchi all’autonomia dei servizi pubblici, hanno avuto grande spazio. Al caso italiano - ormai un “classico”, in questi appuntamenti - si è sommato l’allarme che suscita la nuova legge ungherese sui media, possibile nefasto modello per altri Paesi membri. Ma insieme alla denuncia c’è stata la scelta del sindacato - ed è questa la novità più importante dell’incontro - di sollecitare più decisamente le istituzioni europee a fare la loro parte. L’Unione non può essere - dice la mozione approvata su proposta della Fnsi - “regolata soltanto da parametri condivisi per garantire la stabilità economica, ma anche da indicatori egualmente vincolanti per la libertà di espressione e di informazione”. Le istituzioni Ue devono superare le limitazioni che fin qui le hanno rese inefficaci in materia di pluralismo e impotenti contro le restrizioni nazionali. Il sindacato europeo ha finalmente messo da parte il sospetto con il quale aveva guardato per anni ad un possibile intervento della Commissione, temendo che da lì venissero limiti all’autonomia del giornalismo. Ha compreso che le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo non devono essere lasciate alla sola interlocuzione con le potenti lobby degli editori commerciali, e chiede ora esplicitamente all’Europa “misure di pubblico sostegno all’indipendenza dell’informazione”.
In questa azione, i giornalisti europei hanno chiara la necessità di rinsaldare l’alleanza con le tante organizzazioni sociali che in ogni paese sono impegnate sui temi della comunicazione come elemento essenziale della vita democratica. Perciò ha trovato accoglienza assai positiva una proposta che la Fnsi ha portato all’assemblea di Belgrado, dopo che in Italia ha già cominciato ad elaborarla il “Comitato per la libertà e il diritto all’informazione, alla cultura e allo spettacolo”: il progetto di far uso della “citizen iniziative”, il nuovo strumento messo a disposizione dei cittadini europei dal Trattato di Lisbona. Una petizione popolare che, se sottoscritta da un milione di persone in almeno un quarto dei Paesi della Ue, deve obbligatoriamente essere presa in esame dalla Commissione Europea. Ci piace molto l’idea che la sua inaugurazione avvenga con una campagna continentale sui temi del pluralismo informativo. Il testo da far firmare verrà messo a punto nelle prossime settimane, per lanciarlo in Italia e altrove non appena saranno state definite le regole di attuazione della “citizen iniziative”. Quella voglia di partecipazione che i referendum italiani hanno visto esplodere avrà presto una nuova occasione per manifestarsi.
* Presidente Fnsi