Articolo 21 - INTERNI
Infortuni sul lavoro: donne doppiamente vittime
di Elisabetta Reguitti
Loris Pozzi, elettricista piacentino di 37 anni è morto mentre stava lavorando ad uno strumento per il controllo del vento. Un palo gli è caduto addosso colpendolo alla testa e uccidendolo sul colpo. E siamo a quota mille morti sul lavoro in Italia dall’ inizio dell’ anno. Ma nessuno ne ha parlato. Neppure un servizio di coda nei telegiornali nazionali. Niente di niente.
Morti dimenticate quelle della guerra del lavoro.
A lanciare l’allarme è l’associazione Articolo21 che con il suo inesorabile contatore ricorda gli oltre 25 mila invalidi e il milione di infortuni avvenuti nel corso del 2009 nel nostro Paese.
“ Non c'è giorno che il bollettino di guerra della (in)sicurezza sul lavoro non conti un nuovo decesso o un grave infortunio” commenta il direttore del sito Stefano Corradino rilanciando l’appello a tutti i media perché si occupino delle tematiche del lavoro dando spazio alle storie che si intrecciano attorno agli infortuni e ai decessi nei luoghi di lavoro.
Un’opportunità anche per conoscere e approfondire vicende del tutto sconosciute. Come ad esempio il fenomeno degli infortuni sul lavoro al femminile: uno su quattro, pari all’incirca al 27 per cento del totale, il 9 (per cento) degli incidenti mortali.
Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat le donne invalide per un infortunio sul lavoro o una malattia professionale in Italia superano ampiamente quota 100 mila.
Le donne subiscono più infortuni rispetto agli uomini sia sul lavoro ma anche in “itinere” (tragitto casa-lavoro e viceversa) come rivelano i dati forniti dall’ Inail secondo cui dei 97 casi mortali verificati nel 2007, ben 53 donne sono decedute andando o tornando dal lavoro. L’infortunio sul lavoro al femminile in ogni caso è un vero e proprio dramma nel dramma fotografato dalle immagini di madri che, dalla mattina alla sera, si ritrovano ad abbracciare i propri figli con arti artificiali. Di donne menomate nella capacità lavorativa ma, soprattutto, nell’impossibilità di rispondere alle esigenze degli affetti e alla conduzione della casa. Un “lavoro” quest’ultimo che nessuno si preoccupa di risarcire. Se ciò non bastasse poi c’è l’incognita del reinserimento lavorativo e di una mancata valutazione del danno estetico e delle ripercussioni psicologiche.
Gli infortuni sul lavoro al femminile sono l’altra metà del fenomeno delle cosiddette morti bianche”. Migliaia di “morti rosa” che non fanno notizia. Che difficilmente occuperanno le pagine patinate delle riviste femminili. Tanto meno le pagine dei quotidiani.
Improvvisamente e traumaticamente la donna vittima di un infortunio sul lavoro sperimenta sul proprio corpo “ferite” che vanno al di là della lesione vera e propria e costituiscono una irreversibile offesa dell’immagine corporea che richiede, per una nuova integrazione, un impegno lungo, costante e spesso molto travagliato.
Non tutti sanno infatti che il 55 per cento delle donne infortunate sul luogo di lavoro abbandona la sede in cui si è verificato l’incidente. Non ce la fa e, nella maggior parte dei casi, la stessa lavoratrice non è più in grado di ritornare a svolgere la normale attività. Ma l’alta percentuale di “non ritorno” alla propria attività assume ancor maggior rilievo se paragonata al fatto che queste donne non riescono a trovare alcuna altra occupazione esterna all’ambito della mansione della gestione familiare.
Di fatto, il reinserimento lavorativo è una delle peggiori e drammatiche ripercussioni di un incidente avvenuto durante l’attività lavorativa. Analizzando alcuni dati si scopre come le donne del nord-ovest ritengano che nel 50,56% dei casi “le norme di sicurezza non erano state rispettate da chi lavorava”, questa percentuale si abbassa all’11,11% nel nord-est e al sud per poi sfiorare il 23% al centro Italia.
Un altro dato che ha quasi dell’ inverosimile è che a tutt’ oggi le donne al di sopra dei 50 anni, considerino solo “un attimo di distrazione” la causa del loro incidente: il 50 % al centro, il 18,42% al nord-est e il 15,79% sia al sud che al nord-ovest. Una quasi assunzione di colpa.
Morti dimenticate quelle della guerra del lavoro.
A lanciare l’allarme è l’associazione Articolo21 che con il suo inesorabile contatore ricorda gli oltre 25 mila invalidi e il milione di infortuni avvenuti nel corso del 2009 nel nostro Paese.
“ Non c'è giorno che il bollettino di guerra della (in)sicurezza sul lavoro non conti un nuovo decesso o un grave infortunio” commenta il direttore del sito Stefano Corradino rilanciando l’appello a tutti i media perché si occupino delle tematiche del lavoro dando spazio alle storie che si intrecciano attorno agli infortuni e ai decessi nei luoghi di lavoro.
Un’opportunità anche per conoscere e approfondire vicende del tutto sconosciute. Come ad esempio il fenomeno degli infortuni sul lavoro al femminile: uno su quattro, pari all’incirca al 27 per cento del totale, il 9 (per cento) degli incidenti mortali.
Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat le donne invalide per un infortunio sul lavoro o una malattia professionale in Italia superano ampiamente quota 100 mila.
Le donne subiscono più infortuni rispetto agli uomini sia sul lavoro ma anche in “itinere” (tragitto casa-lavoro e viceversa) come rivelano i dati forniti dall’ Inail secondo cui dei 97 casi mortali verificati nel 2007, ben 53 donne sono decedute andando o tornando dal lavoro. L’infortunio sul lavoro al femminile in ogni caso è un vero e proprio dramma nel dramma fotografato dalle immagini di madri che, dalla mattina alla sera, si ritrovano ad abbracciare i propri figli con arti artificiali. Di donne menomate nella capacità lavorativa ma, soprattutto, nell’impossibilità di rispondere alle esigenze degli affetti e alla conduzione della casa. Un “lavoro” quest’ultimo che nessuno si preoccupa di risarcire. Se ciò non bastasse poi c’è l’incognita del reinserimento lavorativo e di una mancata valutazione del danno estetico e delle ripercussioni psicologiche.
Gli infortuni sul lavoro al femminile sono l’altra metà del fenomeno delle cosiddette morti bianche”. Migliaia di “morti rosa” che non fanno notizia. Che difficilmente occuperanno le pagine patinate delle riviste femminili. Tanto meno le pagine dei quotidiani.
Improvvisamente e traumaticamente la donna vittima di un infortunio sul lavoro sperimenta sul proprio corpo “ferite” che vanno al di là della lesione vera e propria e costituiscono una irreversibile offesa dell’immagine corporea che richiede, per una nuova integrazione, un impegno lungo, costante e spesso molto travagliato.
Non tutti sanno infatti che il 55 per cento delle donne infortunate sul luogo di lavoro abbandona la sede in cui si è verificato l’incidente. Non ce la fa e, nella maggior parte dei casi, la stessa lavoratrice non è più in grado di ritornare a svolgere la normale attività. Ma l’alta percentuale di “non ritorno” alla propria attività assume ancor maggior rilievo se paragonata al fatto che queste donne non riescono a trovare alcuna altra occupazione esterna all’ambito della mansione della gestione familiare.
Di fatto, il reinserimento lavorativo è una delle peggiori e drammatiche ripercussioni di un incidente avvenuto durante l’attività lavorativa. Analizzando alcuni dati si scopre come le donne del nord-ovest ritengano che nel 50,56% dei casi “le norme di sicurezza non erano state rispettate da chi lavorava”, questa percentuale si abbassa all’11,11% nel nord-est e al sud per poi sfiorare il 23% al centro Italia.
Un altro dato che ha quasi dell’ inverosimile è che a tutt’ oggi le donne al di sopra dei 50 anni, considerino solo “un attimo di distrazione” la causa del loro incidente: il 50 % al centro, il 18,42% al nord-est e il 15,79% sia al sud che al nord-ovest. Una quasi assunzione di colpa.
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