di Daniela de Robert
Ventiquattro ore di sciopero della fame e della sete per dare voce alla fame e sete di giustizia e legalità. In 1600 hanno aderito all’appello dei radicali per le carceri, per rilanciare con forza le parole del Presidente Napolitano su carcere e giustizia. “Una realtà che ci umilia in Europa”. Così poche settimane fa il Capo dello Stato Giorgio Napolitano aveva definito la questione carceri. Una realtà dove la giustizia è “ritardato e negata o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura” aveva aggiunto.
Ad umiliarci sono le condizioni di vita, con un livello di sovraffollamento inimmaginabile. In Italia, dove si ripete con ossessione che in carcere non ci va nessuno, i detenuti erano al 31 luglio 66.942, cioè oltre 21 mila persone in più rispetto al limite tollerabile che è di 45.681 posti. Tradotto in termini concreti vuol dire celle con anche dieci, quindici persone, con i letti a castello su due o tre piani e qualche volta anche con i materassi per terra perché i letti sono finiti. Vuol dire fare a turno per stare in piedi perché lo spazio non basta. Vuol dire stare chiusi in cella anche ventitre ore al giorno perché anche i cortili per l’ora d’aria sono sovraffollati. Nel 2009 l’Italia era stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a risarcire per danni morali un detenuto bosniaco che era stato per sei mesi in uno spazio inferiore a tre metri quadrati. Da allora le condizioni sono ancora peggiorate.
Sovraffollamento vuol dire anche che mentre i detenuti aumentano, il personale resta quello di sempre, anzi diminuisce. Polizia penitenziaria, educatori psicologi, persino i direttori non sono abbastanza per coprire tutti gli istituti di pena. E diminuiscono anche i fondi per le carceri. A Pisa manca anche la carta igienica. Per ora ha tamponato la situazione il sindaco, inviando due pancali per un totale di centocinquanta confezioni, poi si vedrà.
Ad umiliarci è “il crescente ricorso alla custodia cautelare” e “l’abnorme estensione della carcerazione preventiva”, per usare le parole di Napolitano con 27.572 detenuti in attesa di giudizio, il 40 per cento del totale: presunti innocenti, in attesa della sentenza di primo grado, appellanti, ricorrenti. Più della metà sarà assolta. Intanto stanno in galera per scontare quella che chiamano una “pena anticipata”..
Ad umiliarci è la presenza sempre più alta di persone che vengono dalla marginalità sociale, quelli che finiscono in carcere perché abbiamo sostituito le politiche sociali con le politiche penali, limitandoci ad allontanare da noi chi ci dà fastidio.
Ad umiliarci è anche il drammatico numero di morti in carcere: dal 1 gennaio all’8 agosto i morti dietro le sbarre sono stati centoventi. Centoventi morti nel luogo della sicurezza e della giustizia. E di questi quarantadue si sono suicidati. Morti per disperazione, forse anche per le condizioni di vita, per la mancanza di ascolto, di attenzione, di prospettive, di speranza. Morti soli e dimenticati.
E poi c’è quello che il Capo dello Stato ha definito “l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. In nome della sicurezza e della tolleranza zero si è compiuto uno scempio dei diritti e della dignità della persona. Per paura di perdere voti, per inseguire chi grida più forte, perché è più facile criminalizzare intere categorie che ascoltare e leggere la realtà complessa. Le misure alternative sono merce rara nonostante gli importanti risultati in termini di abbattimento della recidiva.
Per tutto questo per oggi è stato proclamato uno sciopero di ventiquattro ore della fame e della sete. Per chiedere la convocazione straordinaria del Parlamento sulle carceri.
Lavoratori delle carceri, detenuti ignoti, mogli, figli, genitori, nonni e amici di persone in carcere, rappresentanti di istituzioni che sono chiamati a risolvere il problema dell’illegalità delle carceri, semplici cittadini che credono nella democrazia e nella giustizia, parlamentari e politici. Tutti insieme per un giorno di sciopero della fame e della sete per “fornire conoscenza e ascolto della parola e dell’opera del Presidente della Repubblica” sulla gravità della situazione delle carceri e della giustizia in Italia e sull’urgenza di un intervento.