di Shukri Said*
La vicenda di Kate Omoregbe interroga la nostra coscienza. E’ ormai maturata la fine dei quattro anni di reclusione che le sono stati comminati per una questione di droga ed uscendo tra poche ore dal carcere di Castrovillari dovrebbe essere espulsa verso la Nigeria, suo paese d’origine. Questo prevede la legge italiana e questo appare coerente con la pretesa che, chi viene in Italia dai paesi extracomunitari, rispetti le regole e non le trasgredisca, specialmente con reati odiosi come quelli relativi agli stupefacenti, pena il ritorno al paese suo.
Ma in Nigeria Kate è esposta alla condanna a morte per lapidazione avendo rifiutato tanto un matrimonio combinato quanto la conversione all’islam dal cattolicesimo che attualmente abbraccia.
Le leggi ci sono ed avrebbero anche una loro logica, ma la vita, con le sue mille sfaccettature ci propone ancora, con Kate Omoregbe, il dilemma tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Nel suo “Critone”, Platone fa rifiutare la salvezza dell’evasione a Socrate, rinchiuso in carcere e prossimo all’esecuzione capitale, facendogli affermare “Non bisogna tenere in massimo conto il vivere come tale, bensì il vivere bene, ed il vivere bene è lo stesso che il vivere con virtù e con giustizia.”
Ma qual è la giustizia nel caso di Kate? Rispettare la nostra legge che, dopo l’espiazione della pena per il grave reato di droga, la espelle verso il paese d’origine in cui l’aspetta una delle morti più orribili e primitive?
La nostra coscienza si ribella al rispetto di questa legge nazionale che non tiene conto della globalità che ormai ci avvolge in modo sempre più stringente e ci propone un confronto sempre più diretto con realtà che solo pochi anni fa sembravano remote. Oggi quelle diversità abitano vicino a noi ed interrogano prepotentemente le nostre coscienze impedendoci di eludere il dilemma sulla sorte di Kate che, in definitiva, riguarda l’adeguatezza del nostro ordinamento a rispondere alle sfide culturali e antropologiche di un mondo sempre più piccolo.
La legge che, applicata oggi in Italia, consentirebbe domani la lapidazione di Kate espulsa in Nigeria, è una legge recente, che appartiene alla volontà politica di sfruttare la visione miope di alcune categorie di cittadini per puri scopi elettorali. Una legge come la Bossi-Fini, peggiorata dal pacchetto-sicurezza della Lega Nord, che si inquadra nella stagione che ha visto comprimere, con il trattato di amicizia italo-libico, i diritti umani e le aspettative di milioni di persone pur di conquistare un vantaggio di consensi che, con la primavera araba e la rivendicazione di maggiore democrazia contro i despoti che infestavano il Mare Nostrum, è finito in frantumi, come i sondaggi di questi giorni confermano ampiamente.
Perché Kate dovrebbe pagare con la vita gli errori di prospettiva della nostra classe politica, capace solo di offrire risposte semplicistiche, più che semplici, a problemi complessi come l’immigrazione?
Non resta che seguire, ancora una volta, i consigli del Presidente della Repubblica e rivolgerci alla nostra Carta fondamentale.
Qui, all’art. 10, troviamo l’imperativo rivolto al nostro ordinamento di conformarsi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.
Tra queste, le più famose appartengono alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
E’ un testo che commuove sempre quando esclude ogni discriminazione fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o di altro genere; quando riconosce a ciascuno il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza; quando nega la possibilità di interferenze nella vita privata delle persone; quando garantisce libertà nel consenso al matrimonio … In esso si trovano tutte le risposte ai quesiti che pone il caso di Kate.
Alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo fa poi eco la Convenzione di Ginevra del 1951 che qualifica come rifugiato colui che, temendo di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese.
Già questa breve ricognizione nel diritto internazionale dimostra come Kate Omoregbe non possa essere espulsa dall’Italia verso la Nigeria, suo paese d’origine, per esservi lapidata per motivi di religione e culturali, pena la violazione della nostra Costituzione. Il riconoscimento dello status di rifugiato le spetta di diritto ai sensi delle norme internazionali privilegiate nel nostro ordinamento sopra la legge nazionale.
Ma non è solo la salvezza della vita il risultato cui deve pervenire la vicenda di Kate.
Occorre che da essa si prenda lo spunto per aprire finalmente luoghi di dibattito onde intensificare la lotta a quelle culture che, nel mondo, consentono ancora sentenze di morte come quella che l’ha colpita.
Si tratta di un impegno immane se si pensa che, ancora negli Stati Uniti, c’è la legge del taglione come nei passi più remoti della Bibbia e che in Cina si eseguono almeno diciassette condanne capitali ogni giorno dell’anno. Per non parlare delle mutilazioni genitali femminili, della superstizione che incatena tante coscienze, della condizione della donna in tante collettività …
Ma come insegnava Lao Tse già seicento anni a. C., un viaggio lungo mille chilometri inizia con un primo piccolo passo e poco tempo dopo di lui lo stesso Socrate spiegò che, contro le leggi ingiuste, occorre battersi a vantaggio proprio e degli altri concittadini.
Con questi Mentori la gravosità dell’impegno non deve quindi preoccupare. E’, invece, la volontà che non deve accendersi a corrente alternata. Nel 2002 ci fu il caso di Amina. Nel 2009 quello di Asia Bibi. Sakineh nel 2010. I casi si ripetono con frequenza preoccupante e l’attivismo della collettività internazionale rischia di trasformarsi in un rito da social network che l’abitudine svuoterà di contenuti privandolo della capacità intimidatrice verso i regimi più barbari.
Per questo abbiamo bisogno di uno scatto di responsabilità della politica e della società civile, a cominciare da quella italiana che, proprio con il caso di Kate, mostra di non essere indenne da problematiche normative prive di automatismi a tutela della dignità e della vita umana.
*fondatrice dell'Associazione Migrare – www.migrare.eu
Salviamo Kate dalla lapidazione- di Stefano Corradino* / Governo italiano salvi Kate - di Fabio Evangelisti / SALVATE KATE, IL VIDEO DI RAINEWS /