di Federico Orlando
Giorgio Napolitano ha rovesciato il tavolo delle priorità. L'aveva annunciato più volte, e qualcuno aveva fatto segno di strafottenza, qualcun altro d'insoddisfazione. Ma il presidente non si è mosso di una virgola. Tutto quel che ha detto l'altra sera a milioni di italiani facendo entrare nelle loro case la voce migliore delle istituzioni dopo tante orge di coribanti, l'aveva scritto nel libro intitolato Il patto che ci lega.
Nel recensirlo, Europa fu tentata di intitolare ”Il lodo Napolitano”. Poi, per evitare indecorose anche se involontarie assonanze, si preferì “Il patto Napolitano”. A san Silvestro quel patto è stato riassunto agli italiani in venti minuti, senza altro notaio che la buona fede. E propone e promette agli italiani di rovesciare i luoghi comuni.
Il 2010 sarà, sì, l'anno delle riforme, ma dopo o comunque insieme alle priorità vitali delle famiglie, dei giovani, della crescita, del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno, dove i sismografi segnalano che il magma potrebbe scoppiare. Redditi, sobrietà, riscoperta dei doveri, valori come stile di vita, cui istituzioni rinnovate e giustizia celere saranno di aiuto. E' il discorso della ricostruzione: Napolitano ha detto a governanti e oppositori che le piramidi non si costruiscono dalla punta, ma dalla base. Bisogna tornare alla geometria della politica, al buongoverno.
Per noi del Novecento un discorso degasperiano, einaudiano, lamalfiano, socialdemocratico. Per i giovani del Duemila un discorso che, senza lacrime e sangue, è concepito per loro, esposti a due insidie decisive: l'uccisione dell'avvenire e le suggestioni del peggiore passato. A un paese che, con sforzi collettivi nazionali e internazionali ha evitato il naufragio nel 2009, pagando tuttavia prezzi altissimi al Moloch della crisi (non per tutti, signor presidente, ci sono stati anche i profitti di regime); a questo paese il 2010 presenta una navigazione con meno marosi finanziari ma sempre con richiesta di vittime: lo annunciano tutti gli studi. Il presidente li cita e dà l'allarme, con fiducia negli italiani e senza i falsi ottimismi della propaganda. Se le priorità non saranno rispettate, magari per privilegiare interessi personali o di parte, ne sarà segnato l'avvenire dei giovani, specie per la generazione non più giovanissima ma ancora “precaria”; e la droga della violenza potrebbe come in anni lontani riproporre le sue suggestioni: allora falsamente ideologiche, oggi realisticamente esistenziali.
In questo dramma dei numeri (appena variato dalla maledizione nazionale di nascondere l'intera verità sotto i tappeti del sommerso e del nero, e dalla fortuna di avere ancora famiglie capaci di trasformarsi in principale ammortizzatore sociale), è dovere di tutti - maggioranza e opposizione, sindacati e imprenditori, stato e chiesa, lavoro e cultura, arte e solidarietà – contribuire a spegnere ogni idea di eversione dell'ordine costituzionale. Una cosa è riformare gli istituti invecchiati e la giustizia, per renderli funzionali alle decisioni e alla certezza dei tempi e dei diritti, che sono anch'essi fattori di “economia” oltre che di cittadinanza; un'altra cosa è sognare egocrazie preilluministiche, che deliziano l'antipolitica, ma solo finché questa s'accorge da sé stessa della sbronza in cui vive, e si rassegna a invocare, almeno per qualche generazione, il ritorno alla lucidità della buona politica, al buongoverno. Nel buongoverno c'è, prima di tutto, la rappresentanza – dai comuni al parlamento, dai luoghi di lavoro alle università e alle scuole - ; ci sono o debbono esserci le istituzioni governative e l'amministrazione; ci sono e debbono restarci le garanzie costituzionali e giudiziarie, libere e inesorabili nella guardia alla costituzione e alla legge. I ragazzi del Duemila debbono sapere che qui stanno le chiavi della loro vita, che le gerontocrazie butterebbero volentieri dopo aver chiuso la gabbia. Ciò accade se la politica si imbarbarisce.
Contro l'imbarbarimento della politica, che le convergenze dei partiti possono aiutare a impedire, Napolitano ha voluto ricordare non per piaggeria verso il papa ma per convinzione socialdemocratica divenuta patrimonio di tutta la liberaldemocrazia (è qui il filone culturale che attraversa l'intero messaggio), che una società a libera imprenditoria di mercato se non distribuisce le sue risorse equamente, fallisce per corrosione interna. Non basta il sostegno di una maggioranza di privilegiati veri o che tali si presumono per aver annusato da lontano l'odore dell'arrosto. Da quanto tempo non sentivamo più parlare di queste cose: che a chi è vissuto nel '900 riportano i nomi di New Deal, di Piano Beveridge, di economia sociale di mercato, di Welfare state; e a chi vivrà nel Duemila le parole altrettanto desuete di speranze, diritti/doveri, valori. Beh, per fortuna , dopo il decennio degli Anni Zero in tutti i sensi, all'alba del nuovo decennio il carillon dà la sveglia con quelle parole.