Articolo 21 - IDEE IN MOVIMENTO
Il lettore per amico
di Federico Orlando
(Pubblichiamo un estratto dell'articolo “verità e giornalismo nell'età dei nuovi media” di Federico Orlando, in uscita nel fascicolo “Verità” della rivista Arel) (...) Quando in qualche liceo mi chiamavano a parlare del tema agli studenti, richiamavo un pensiero di Seneca, traducendo alla buona: Cogita cum tibi in amicitiam aliquis recipiendus sit, cum placuirit id fieri, toto illum pectore admitte, tam audacter cun illo loquere quam tecum: pensaci bene prima di accogliere qualcuno nella tua amicizia, ma se ti convincerai a farlo allora aprigli interamente il tuo cuore e confida in lui come in te stesso. Secondo me – spiegavo – il giornalista si deve comportare col lettore come con persona ammessa alla sua amicizia: se trova nel lettore le affinità necessarie, allora i suoi scritti saranno in sintonia coi sentimenti di chi legge e questi ne sarà lieto, e anche orgoglioso: ma, per non ingannarlo, bisogna dirgli che in quella sintonia non c’è pretesa di verità, ma solo di onestà, di coincidenza critica di sentimenti e di opinioni. In quella coincidenza critica stanno sia l’amicizia che la professionalità. Senza accettare la drastica affermazione dell'ultimo Meeting di Rimini (28 agosto) “Il giornalista non deve arrogarsi di spacciare la verità, ma deve raccontare”.
(…) Finora, la dialettica è servita anche a demitizzare l'assoluto nel media (“L'ha detto il Tg1”). In futuro potrebbe diventare più difficile, se davvero, come ha scritto Christopher Johnson in Microstyle, siamo nell’era del messaggio breve e il problema è di nuovo come imparare a comunicare questa snack culture, Smith Magazine lancia l’idea di riassumere storie o capolavori in sei parole. Non c’è tempo (o voglia) di dedicarsi a capire se le cose dette in quelle storie contengano delle verità , e quali siano. Pare che i media elettronici innalzino a supremo valore la sintesi. Nel Quattrocento, Gutenberg consentì che si stampassero milioni di copie della Bibbia e ciascuno potesse leggerla e interpretarne le verità liberamente, ora il web ci chiederebbe di ridurla in sei parole? E magari concludere, come la canzonetta “Quante cose che non sai di me”, proprio con sei parole: “Quante cose che non puoi sapere”. Diventa difficile, per me, capire come si concilierà la comunicazione ultrasintetica, anticipata dalla pratica dei messaggini e affidata a milioni di blog, con questa opinione di Zeno-Zencovic (Il Mulino): “Spostando l’attenzione verso l’esercizio individuale della manifestazione del pensiero, cambia in maniera significativa il ruolo tradizionale dei mezzi di comunicazione di massa”. Cambiamo i comunicatori, ed è una crescita, ma se i contenuti non crescessero? Cosa succede quando la riduzione del ruolo del giornalista nel sistema comporta anche la riduzione della sua potenziale influenza positiva? Tutte le invenzioni di Steve Jobs, il suo presente-futuro, sono centri autonomi di formazione, nel nuovo mondo? Ma come sarà quel mondo? Da Gutenberg derivarono la lettura, la carta stampata, l’interpretazione dei testi, la riforma, il liberalismo, gli stati nazionali, il costituzionalismo, la democrazia. Tutti fenomeni nei quali l’uomo - stampatore, studioso, pastore, giornalista, giurista, politico, traduttore – si pone come mediatore tra mezzo, contenuto del mezzo e fruizione del mezzo. E domani?
A noi è lecito solo ricordare che ogni sistema mediatico ha avuto regole, in stretta connessione coi principi politici, ma che spessissimo queste regole sono state o ignorate o contestate da chi ne era destinatario, con danno di chi ne sarebbe stato beneficiario. Quando ci si chiede se in Italia sarebbe stato possibile un Watergate con una presidenza imperiale come quella di Nixon, la nostra risposta è sì, alle condizioni che lo resero possibile in Usa: un’opinione pubblica scontenta del contesto politico, una stampa indipendente, una magistratura capace di resistere all’esecutivo. La verità e la libertà vengono prima dei mezzi per affermarle, ma poi debbono resistere con esse. Oggi, nell’Italia della diseducazione civica e della furberia innalzata a etica pubblica, l’editrice del Washington Post resta un mito. E un mezzo mito potrebbe diventare David Cameron, che promette di tagliare le gambe a Murdoch. Eppure, uno dei più bei documenti civili del nostro paese è proprio la ‘Carta dei doveri del giornalista’: il giornalista italiano – vi si proclama - deve ricercare e diffondere, nel rispetto della verità, ogni notizia utile a difendere il diritto all’informazione del cittadino; il giornalista non può mai subordinare la sua responsabilità verso i cittadini a quella verso l’editore, il governo o altri organismi dello Stato; il giornalista non deve intervenire con scritti o immagini sulla realtà per crearne una artificiosa; il commento e l’opinione appartengono al diritto di parola e di critica e devono essere liberi da ogni vincolo che non sia quello posto dalla legge.
Un bel compitino che, se tutti riuscissimo a svolgere nei media di oggi, ci meriterebbe un dieci almeno in italiano. Quando dico tutti, dico editori, imprenditori, magistrati, politici, monopoli informativi, corporazioni (compresa quella giornalistica). Dal che concluderei che il problema della verità nei giornali è parte del problema della rettitudine nella politica e nella cittadinanza.
(…) Finora, la dialettica è servita anche a demitizzare l'assoluto nel media (“L'ha detto il Tg1”). In futuro potrebbe diventare più difficile, se davvero, come ha scritto Christopher Johnson in Microstyle, siamo nell’era del messaggio breve e il problema è di nuovo come imparare a comunicare questa snack culture, Smith Magazine lancia l’idea di riassumere storie o capolavori in sei parole. Non c’è tempo (o voglia) di dedicarsi a capire se le cose dette in quelle storie contengano delle verità , e quali siano. Pare che i media elettronici innalzino a supremo valore la sintesi. Nel Quattrocento, Gutenberg consentì che si stampassero milioni di copie della Bibbia e ciascuno potesse leggerla e interpretarne le verità liberamente, ora il web ci chiederebbe di ridurla in sei parole? E magari concludere, come la canzonetta “Quante cose che non sai di me”, proprio con sei parole: “Quante cose che non puoi sapere”. Diventa difficile, per me, capire come si concilierà la comunicazione ultrasintetica, anticipata dalla pratica dei messaggini e affidata a milioni di blog, con questa opinione di Zeno-Zencovic (Il Mulino): “Spostando l’attenzione verso l’esercizio individuale della manifestazione del pensiero, cambia in maniera significativa il ruolo tradizionale dei mezzi di comunicazione di massa”. Cambiamo i comunicatori, ed è una crescita, ma se i contenuti non crescessero? Cosa succede quando la riduzione del ruolo del giornalista nel sistema comporta anche la riduzione della sua potenziale influenza positiva? Tutte le invenzioni di Steve Jobs, il suo presente-futuro, sono centri autonomi di formazione, nel nuovo mondo? Ma come sarà quel mondo? Da Gutenberg derivarono la lettura, la carta stampata, l’interpretazione dei testi, la riforma, il liberalismo, gli stati nazionali, il costituzionalismo, la democrazia. Tutti fenomeni nei quali l’uomo - stampatore, studioso, pastore, giornalista, giurista, politico, traduttore – si pone come mediatore tra mezzo, contenuto del mezzo e fruizione del mezzo. E domani?
A noi è lecito solo ricordare che ogni sistema mediatico ha avuto regole, in stretta connessione coi principi politici, ma che spessissimo queste regole sono state o ignorate o contestate da chi ne era destinatario, con danno di chi ne sarebbe stato beneficiario. Quando ci si chiede se in Italia sarebbe stato possibile un Watergate con una presidenza imperiale come quella di Nixon, la nostra risposta è sì, alle condizioni che lo resero possibile in Usa: un’opinione pubblica scontenta del contesto politico, una stampa indipendente, una magistratura capace di resistere all’esecutivo. La verità e la libertà vengono prima dei mezzi per affermarle, ma poi debbono resistere con esse. Oggi, nell’Italia della diseducazione civica e della furberia innalzata a etica pubblica, l’editrice del Washington Post resta un mito. E un mezzo mito potrebbe diventare David Cameron, che promette di tagliare le gambe a Murdoch. Eppure, uno dei più bei documenti civili del nostro paese è proprio la ‘Carta dei doveri del giornalista’: il giornalista italiano – vi si proclama - deve ricercare e diffondere, nel rispetto della verità, ogni notizia utile a difendere il diritto all’informazione del cittadino; il giornalista non può mai subordinare la sua responsabilità verso i cittadini a quella verso l’editore, il governo o altri organismi dello Stato; il giornalista non deve intervenire con scritti o immagini sulla realtà per crearne una artificiosa; il commento e l’opinione appartengono al diritto di parola e di critica e devono essere liberi da ogni vincolo che non sia quello posto dalla legge.
Un bel compitino che, se tutti riuscissimo a svolgere nei media di oggi, ci meriterebbe un dieci almeno in italiano. Quando dico tutti, dico editori, imprenditori, magistrati, politici, monopoli informativi, corporazioni (compresa quella giornalistica). Dal che concluderei che il problema della verità nei giornali è parte del problema della rettitudine nella politica e nella cittadinanza.
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