di Redazione
da Il mondo di Annibale
Colpisce, non può non colpire. Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi sono finiti in modi molto simili. Il primo, Saddam Hussein, tornò nella natale Tikrit e lì si nascose in un angusto rifugio, infondo a un buco scavato nella sua terra. Anche Gheddafi era in un cunicolo sotterraneo, sembra però insieme ad altri “combattenti”. Aveva, secondo i primi racconti, la sua pistola d’oro, ma avrebbe comunque invocato i suoi nemici di non sparare.
In ogni caso anche lui è tornato nella natia Sirte. Gheddafi e Saddam erano legati alle loro tribù. Il prima aveva governato con l’appoggio dei Tikriti, e anche il secondo aveva contato prima di ogni altro sull’appoggio della sua tribù. La differenza c’è, e non è certo minima: Gheddafi non era completamente solo, era armato, mentre Saddam era tornato soltanto a nascondersi. Ma anche le similitudini pesano: entrambi nelle “loro” città, entrambi sotto terra, nascosti in un modo che a noi italiani non può che ricordare quello di certi boss mafiosi.
Per entrambi l’ appartenenza tribale doveva essere profonda, forse disperata. Perché se quella del clan era la sola fedeltà possibile, per nessuno dei due il clan poteva garantire davvero. Le stragi, le carneficine, il governo spietato e feroce, nel caso di Saddam forse anche il tradimento patito dai figli, che erano scoperti in un appartamento, devono averli spinti a scegliere il fosso. Ma la scelta del luogo d’origine gliela ha dettata la cultura, l’universo mentale, l’ identità.
Purtroppo non si può neanche sperare che la storia terrificante apertasi nel giorni in cui Saddam fu scoperto in quel fosso iracheno si chiuda oggi con la pistolettata sparata in un fosso a migliaia di chilometri di distanza contro Gheddafi. Troppi altri carnefici, troppe altre espressioni di un potere tribale e disumano, sono ancora lì, asserragliati nei palazzo dell’inverno arabo, a resistere. Bashar al-Assad nel palazzo bunker di Damasco, Ali Saleh nella yemenita Sana’a, tanto per fare due esempi (e come non pensare anche ai satrapi sauditi). Quando si parla di primavera araba forse ci si riferisce a un caos lavico nel quale ci sono dentro tante cose, ma quando si pensa a loro, ai despoti, si capisce che dall’altra parte delle barricate arabe c’è proprio l’inverno. L’inverno lungo più di cinquant’anni di quei popoli. Ora, per l’effetto psicologico che certi accadimenti indubbiamente hanno, è comprensibile che molti oppositori siriani vedano un tombino nel prossimo futuro del siriano Assad.