Articolo 21 - INTERNI
Il ricco Nordest e l'insofferenza per il diverso
di Ugo Dinello
Marino ha 62 anni e, dopo una vita di lavoro come portiere d'albergo, per una serie di vicissitudini si ritrova a vivere in una casa di cartone, estremamente pulita, che ha realizzato sotto un tetto sporgente di corte Badoera, a pochi passi dall'incessante flusso turistico della cattedrale dei Frari, a Venezia. Non ha mai chiesto la carità, vive con una pensione sociale e passa il tempo tenendo pulita l'intera corte, spazzandola e lavando talvolta i "masegni" di pietra d'Istria. Il 3 gennaio, quattro ragazzini e due ragazzine, tutti minorenni, tutti di buona famiglia, hanno pensato di dare fuoco alla sua casa. Una bestialità atroce cui purtroppo sembriamo quasi abituati tanto da liquidarla spesso in "Tentano di dar fuoco a barbone". Barbone, cioè una persona, un essere umano che la vita ha travolto. Per i sei ragazzini un "fastidio" da eliminare. Il problema non è quindi solo il fatto, bestiale in sè, ma il contesto in cui si è sviluppato e in cui, a quanto pare, nessuno fa niente perché non torni a svilupparsi ancora: il Nordest.
Il Nordest che, sia ben chiaro, non ha il primato della caccia ai barboni (le metropoli di ogni latitudine ci hanno infatti abituati a ben di peggio) ma che di un altro triste primato pare andare orgoglioso: l'insofferenza verso il diverso.
Perché se nessuno saprà cosa veramente è passato per la testa di sei ragazzini, tutti vedono invece il terreno di coltura in cui quelle loro teste si sono nutrite.
Lo stesso, per capirsi, del vicesindaco Pdl di Musile di Piave, che propone di andare a rastrellare casa per casa gli extracomunitari per verificare se sono regolari, un progetto di provvedimento definito "fascista" dallo stesso sindaco leghista ma contro cui, ad ora, il Pdl non ha alzato un refolo di protesta.
Lo stesso in cui una città come Verona, che dovrebbe ben guardare a una storia sociale che ha sviluppato gruppi terroristici anti diversi (Ludwig), trame eversive (La rosa dei venti), depistaggi (il caso del colonnello Amos Spiazzi) e pestaggi mortali contro chi non era vestito alla moda (la morte di Nicola Tommasoli nel maggio 2008). Una città dove un ragazzino di 19 anni che giocava a calcio al tristemente famoso stadio Bentegodi è stato contestato - e fin qui niente di male - ma non con "Brocco", "Imbranato", "Negato", "Piedi storti", ma con un "Negro", "Bu-bu", "Non esistono negri italiani" e con un sindaco, il famoso Flavio Tosi, già condannato (quindi è un pregiudicato) a due mesi per propaganda di idee razziste contro gli zingari, che attacca il giocatore insultato, accusandolo di essere immaturo e prevedendo che "non diventerà mai un campione" proprio per il fatto di essersi ribellato agli insulti fatti su base razziale.
E' quindi facile profezia dire che, visti gli esempi, nel Veneto che si prepara alle elezioni regionali e alla vittoria scontata del candidato del centrodestra, quel Luca Zaia compagno di partito di Tosi, i casi come quelli del povero Marino, l'essere umano cui dei ragazzini hanno tentato di dare fuoco per bruciarlo vivo, sono destinati a ripetersi. Il tutto tra le ipocrite condanne della stessa classe di amministratori "adulti".
Il Nordest che, sia ben chiaro, non ha il primato della caccia ai barboni (le metropoli di ogni latitudine ci hanno infatti abituati a ben di peggio) ma che di un altro triste primato pare andare orgoglioso: l'insofferenza verso il diverso.
Perché se nessuno saprà cosa veramente è passato per la testa di sei ragazzini, tutti vedono invece il terreno di coltura in cui quelle loro teste si sono nutrite.
Lo stesso, per capirsi, del vicesindaco Pdl di Musile di Piave, che propone di andare a rastrellare casa per casa gli extracomunitari per verificare se sono regolari, un progetto di provvedimento definito "fascista" dallo stesso sindaco leghista ma contro cui, ad ora, il Pdl non ha alzato un refolo di protesta.
Lo stesso in cui una città come Verona, che dovrebbe ben guardare a una storia sociale che ha sviluppato gruppi terroristici anti diversi (Ludwig), trame eversive (La rosa dei venti), depistaggi (il caso del colonnello Amos Spiazzi) e pestaggi mortali contro chi non era vestito alla moda (la morte di Nicola Tommasoli nel maggio 2008). Una città dove un ragazzino di 19 anni che giocava a calcio al tristemente famoso stadio Bentegodi è stato contestato - e fin qui niente di male - ma non con "Brocco", "Imbranato", "Negato", "Piedi storti", ma con un "Negro", "Bu-bu", "Non esistono negri italiani" e con un sindaco, il famoso Flavio Tosi, già condannato (quindi è un pregiudicato) a due mesi per propaganda di idee razziste contro gli zingari, che attacca il giocatore insultato, accusandolo di essere immaturo e prevedendo che "non diventerà mai un campione" proprio per il fatto di essersi ribellato agli insulti fatti su base razziale.
E' quindi facile profezia dire che, visti gli esempi, nel Veneto che si prepara alle elezioni regionali e alla vittoria scontata del candidato del centrodestra, quel Luca Zaia compagno di partito di Tosi, i casi come quelli del povero Marino, l'essere umano cui dei ragazzini hanno tentato di dare fuoco per bruciarlo vivo, sono destinati a ripetersi. Il tutto tra le ipocrite condanne della stessa classe di amministratori "adulti".
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