di Nella Condorelli
Qual è l’istantanea che meglio di tutte scolpisce nella pietra, dalla parte delle donne, i diciassette anni di governo Berlusconi, nei giorni successivi alle sue dimissioni? Quale fotogramma racconta più nitidamente di ogni altro i guasti profondi che il suo “sentimento per le donne” – passatemi il termine -, ha arrecato alla condizione femminile nel nostro Paese? Negli anni cruciali di passaggio dal secondo al terzo Millennio, coincisi con il suo arrivo e posizionamento sul più alto scranno del potere esecutivo nazionale?
Non c’è che l’imbarazzo della scelta, il catalogo è lungo. Eppure, adesso che l’incredibile avventura politico-istituzionale di Silvio Berlusconi si conclude con le dimissioni da presidente del Consiglio, ed egli tramonta, almeno per quanto riguarda il governo dello stato, non sono gli scandali erotico - festaioli di questi suoi ultimi incontrollati anni, l’istantanea che fotografa i pesi che lascia a noi, donne italiane.
E’ il vuoto totale di proposta politica per la parità tra i generi: sul lavoro, sul welfare, sulla conciliazione, sulla rappresentanza, insomma su tutto quanto costituisce esattamente da circa diciassette anni – gli anni del suo governo, gli anni dalla Conferenza Mondiale delle Donne di Pechino 1995 - , l’oggetto delle risoluzioni degli organismi internazionali e delle direttive europee per l’uguaglianza e la parità tra uomini e donne nelle società. Direttive e risoluzioni che il governo Berlusconi, il suo Consiglio dei Ministri, ha sottoscritto, tutte e nessuna esclusa, e non ha mai applicato. Anzi, mai pubblicamente discusso. Semplicemente rimosso. Relegandole per lunghi diciassette anni, quasi una generazione, nell’angolo più buio, meno praticato, del suo programma politico, cancellandole completamente dal lessico governativo. E’ così che uguaglianza, parità e pari opportunità sono diventate parole carbonare, pratiche pressoché clandestine. Inesistenti, come mai esistite, nello spazio mediatico.
Sostenuto dal controllo sul servizio pubblico televisivo, aiutato da convinti direttori, capistruttura, autori e conduttori, persino quelli a lui avversi stante l’articolata misoginia del maschile italiano, per 6205 giorni uno più uno meno, il governo Berlusconi è quindi riuscito ad oscurare completamente lotte per i diritti e protagonismo sociale delle donne italiane, ottenendo che una forma incredibile di censura senza denunce togliesse ogni visibilità al nostro agire in quanto cittadine. Costrette in una rappresentazione mediatica lontana 360 gradi dalla realtà e deprivata della partecipazione democratica, ci siamo ritrovate confinate in avvilenti recinti televisivi gossippari, tristemente ripetitivi, popolati dai fantasmi ossessivi dell’eterna giovinezza del capo. Con tutte le conseguenze a carico, e senza parola pubblica per poterle spiegare in un confronto democratico e plurale.
Le piazze del 13 febbraio, intestate alla “dignità femminile”, parola d’ordine capace di slancio unitario, hanno finalmente mostrato quanto egli avesse osato sul piano della libertà femminile, e quanto le donne non fossero più disposte a tollerare. Hanno anche evidenziato come il corpo delle donne, luogo preteso fragile, “minus” muto nello spazio pubblico, fosse servito al populismo mediatico berlusconiano per sperimentare e confermare la sua visione patriarcale del potere. Lo svuotamento della democrazia.
La marea di femminismi rivendicati che è seguita a quella manifestazione, con l’emergere istantaneo di associazioni, reti, gruppi, moltissimi dei quali attivissimi (e non da oggi) sul territorio benché ignorati, mostra con altrettanta forza quanto presenti e resistenti siano stati lungo diciassette anni il movimento politico delle donne, - “il movimento largo”, lo ha definito la storica Anna Rossi Doria -, e la voglia di liberazione delle italiane. L’agenda politica che rilanciano oggi, i tam tam dei social network parlano chiaro: le soggettività femminile, la rappresentanza paritaria, il riequilibrio della rappresentazione non possono essere secondari a nulla, neanche ai temi del risanamento dei conti, e riguardano direttamente la discontinuità con gli anni che ci lasciamo finalmente alle spalle, speriamo per sempre.
Non sarà facile. Di mezzo, c’è un lascito speculare all’oscuramento del corpo femminile: la sovraesposizione di quello maschile che continua a straripare dai media senza ripensamenti critici, con molte complicità e pochissime eccezioni. Imponendo senza tregua alla stremata società italiana di uomini e donne, di adolescenti e giovani, di famiglie impaurite dalle crisi, una rappresentazione solo maschile del potere e della responsabilità che non solo confligge con l’ invocata discontinuità, non solo inquieta, ma innanzitutto agisce a danno della solidarietà tra generi e generazioni, del patto di cittadinanza che ci chiama in causa tutte e tutti. Signori, un passo a lato. E noi, riprendiamoci l’immagine, lo spazio pubblico ed il diritto di parola.
Il bilancio del governo Berlusconi in materia di giustizia? Prendete zero, sommatelo a zero, e a questa somma aggiungete zero… - di Valter Vecellio / Il populismo autoritario - di Nicola Tranfaglia
Con questo terzo intervento di Nella Condorelli proseguiamo lo spazio quotidiano che abbiamo deciso di chiamare "Cosa ci ha lasciato B.". Un bilancio settore per settore (dalla politica all'economia, dalla cultura all'informazione...) del quasi ventennio berlusconiano. Vi invitiamo a dire la vostra scrivendo una mail a cosacihalasciatob@articolo21.com