di Giuseppe Giulietti*
Si può paragonare l’aula della Camera a un’abitazione privata? Come difendere i deputati dai fotografi? Di questo si dovrebbe occupare l’ufficio di Presidenza della Camera dei deputati su richiesta della Lega e del Pdl. Il motivo scatenante sarebbe la pervasività dei nuovi mezzi di ripresa che consentirebbero di “spiare” i singoli parlamentari al lavoro. Non vi è dubbio che a nessuno piaccia essere ritratto mentre si appisola, mentre ispeziona il proprio naso, e tanto meno che si tenti di catturare l’audio mentre si sta parlando con il vicino.
Le ragioni della protesta, tuttavia, non riguardano questo tipo di scatti, ma ben altri: lo scambio di biglietti che sarebbe meglio non scrivere, il doppio voto del pianista, l’uso della gomma americana per tenere il tasto sempre premuto, una gestualità volgare e misogina, gesti che non sarebbero tollerati neppure allo stadio.
Questi sono gli “scatti proibiti”, quelli che alcuni vorrebbero cancellare, come sempre non gli atti al centro della censura, ma la documentazione degli atti medesimi.
Non vi è dubbio che quegli scatti possano poi essere utilizzati anche a fini impropri, magari contestualizzati in modo truffaldino, ma la proibizione servirà a qualcosa?
Lo sanno coloro che invocano il divieto che la gran parte degli scatti proibiti sono fatti in aula dai medesimi parlamentari, magari dagli stessi che fingono sdegno solo quando lo scatto riguarda loro e non il vicino di banco? Li hanno informati che, con le nuove tecnologie, divieti e proibizioni non servono proprio a nulla, salvo che a favorire il commercio clandestino delle notizie e degli scatti?
Meglio lasciar perdere, anche perché, prima di procedere al “taglio delle foto“, sarà il caso di procedere con il “taglio dei costi della politica“, possibilmente con pochi annunci e con qualche delibera immediatamente applicabile e verificabile dalla pubblica opinione.
*tratto da Il Fatto quotidiano